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  • Immagine del redattoreLuca Fazi

Cari Amici miei: il ritratto di Renzo Montagnani!

Aggiornamento: 28 ago 2020


Spesso ci resta comodo ed estremamente facile criticare le scelte di un altro individuo senza realmente sapere il perché o il percome queste siano nate e soprattutto le motivazioni che hanno spinto in determinate direzioni; che sia un conoscente o un personaggio dello spettacolo, non ci preserviamo dal commentare con toni feroci la vita non nostra. La polemica, se intelligente e costruttiva, è fonte essenziale della civiltà ma la via dell’accusa nuda e cruda resta sempre quella più trafficata e parlando di Renzo Montagnani sono molteplici gli ingorghi fatti di cattiverie e falsità. Per i più è “quello dei film leggeri” che secondo alcuni sconfinano nel pornografico e perfettamente in sintonia con quel genere “sexy-pecoreccio” rivalutato solo in seguito, come purtroppo avviene con tante altre situazioni. Renzo nasce nel 1930 per la gioia di mamma Elvezia e di babbo Guido che di mestiere faceva il ferroviere dopo essersi trasferito nel Nord Italia; infatti le origini della famiglia sono toscane ma per motivi lavorativi avevano preso una casa in affitto ad Alessandria insieme ad Alfredo, il nonno materno del futuro attore. Sarà proprio quest’ultimo a ricoprire un ruolo fondamentale nell’esistenza del giovanissimo Renzo che, a ridosso della guerra, evade dal quotidiano immergendosi in quei libri di fiabe ricevuti in dono proprio dal padre di Elvezia. Stanno ancora nella città piemontese quanto Alfredo porta il nipote a vedere il Carro di Tespi, una manifestazione che gira nei vari paesetti e vede la partecipazione di artisti più o meno di strada intenti in rappresentazioni teatrali dall’alto contenuto folcloristico. Renzo resta affascinato da quelle scenografie allestite alla buona e dai quei protagonisti che di volta in volta raccontano storie sempre diverse ma mai noiose…questa passione la porterà avanti per tutta la vita. Il conflitto mondiale è alle porte e per la famiglia Montagnani non resta che abbandonare la dimora alessandrina per trasferirsi a Firenze: il nonno rimarrà in Piemonte andando ad abitare però in un’altra casa…quella che li aveva ospitati per alcuni anni saltò in aria per mezzo delle bombe. Nel capoluogo toscano Renzo trova maggiore serenità ed un terreno fertile per dar sfogo a quel talento che ancora non sa di possedere ma che da lì a poco sarebbe esploso. Passa diverso tempo all’oratorio dove il pallone diventa l’attore principale di quei brevi ma intensi pomeriggi e quel prete rompiscatole (poco amante del chiasso e delle varie imprecazione), Don Giorgi, diventerà lo spunto artistico per il futuro Don Fumino, personaggio inventato dall’artista che bacchetta spesso e volentieri i parrocchiani e che noi tutti ricordiamo per quella sua sciarpa rossa dalla quale non si staccava quasi mai.


Renzo nei panni di Don Fumino

Montagnani però sente battere dentro di sé il fuoco del teatro ed ecco allora che il “Merlo Bianco” (una villa che dal 1945 iniziò ad ospitare esibizioni artistiche di diversi giovani) divenne la sua seconda famiglia come lo furono tutte quelle abitazioni utilizzate per far spettacoli o più “semplicemente” parlare di tematiche filosofiche. Si portavano in scena autori come Shakespeare o Cechov e meno informazione c’erano a riguardo maggiore era in loro la voglia di apprendere. Le scenografie venivano sistemate dagli stessi attori prima dello spettacolo e per i costumi si contava sulle sapienti mani di qualche volontaria capace di cucire se non addirittura creare abiti ex novo; pazienza se non si percepiva stipendio alcuno perché la passione ed il divertimento pagavano ampiamente gli sforzi fatti. Quella compagnia di giovanissimi però arrivò alle orecchie di diversi addetti ai lavori fino a quando la famosa attrice e regista russa Pavlova decise di andare ad osservare in prima persona i ragazzi toscani ed in caso offrire ai più meritevoli l’opportunità di farli iscrivere all’Accademia d’Arte Drammatica di Roma dove l’artista dell’est teneva dei corsi. La donna individuò quattro possibili talenti e fra questi Renzo che, a differenza degli altri, non ricevette il consenso dei familiari a trasferirsi nella capitale. I genitori avrebbero anche voluto soddisfare le richieste del figlio ma i soldi portati a casa da Guido non bastavano neppure sommati al lavoretti extra del ragazzo e l’idea di pagare un secondo affitto (oltre quello della dimora toscana) pesò come un macigno sulla scelta definitiva. Così gli amici partirono e per Renzo iniziò una promettente quanto inaspettata carriera nel campo farmaceutico; un parente della madre era il rappresentante esclusivo nel Nord Italia per l’Angelini e non avendo figli maschi propose a Montagnani di fare il rappresentante in giro per ospedali ed ambulatori. Renzo, come lui stesso affermava in vita erroneamente, non prese mai una laurea ad hoc, anzi i suoi studi terminarono con la licenza di terza media, eppure in quelle stanze piene di malati otteneva un tipo di gratificazione che nessun pezzo di carta avrebbe potuto conferirgli: dottori, infermieri e soprattutto degenti avevano continuamente gli occhi lucidi di felicità per le continue battute che l’attore distribuiva durante le ore d’attesa. Solo che fra viaggi e orari d’ufficio sentiva che quello non era il suo mondo e così continuò a cimentarsi con il teatro portando testi impegnati come opere più “leggere”. La risposta di pubblico è sempre grandiosa tanto da spingere il regista Umberto Benedetto a chiamarlo a Radio Firenze dove Renzo intrattiene gli ascoltatori facendo l’attore di prosa e non solo; quando sfocia nel comico diventa inarrestabile e la “stoffa” del giovane ormai adottato fiorentino comincia prepotentemente a farsi sentire. Una compagnia teatrale milanese contatta Benedetto perché è in cerca di un artista brillante ed innovatore; non ci pensa due volte e propone il nome di Renzo che questa volta, siamo nel 1955, non si fa condizionare da niente e nessuno e saluta la toscana per la Lombardia.


Un giovanissimo Montagnani nei primi anni di teatro

Tempo di abbracciare i propri genitori ed eccolo in viaggio verso Milano che ai suoi occhi (e aveva ragione) rappresentava la possibilità di riscatto lavorativo e personale. Parte dal basso per poi, anche grazie alla compagnia Bramieri-Mondaini-Vianello, mettere sempre più esperienza nel suo bagaglio e farsi notare nel mondo teatrale. Conquista il centro della scena e “galeotte” saranno le commedie musicali che lo vedranno protagonista: in una di queste incontra l’amore della sua vita, Eileen. E’ una coetanea di Renzo che gira il mondo con le “Bluebell Girls”, un corpo di ballo britannico che in quegli anni va per la maggiore anche grazie alla bellezze di quelle giovani donne. La bionda ed alta ballerina inglese rapisce il cuore di Montagnani che dal canto suo ha la fortuna di essere ricambiato…il fidanzamento immediato è l’antipasto di un matrimonio avvenuto quattro anni dopo, nel 1959.


Il corpo di ballo delle Bluebell Girls in "azione"

Sembrerebbe un periodo felice eppure il male torna a bussare dopo gli orrori del conflitto mondiale; questa volta si tratta del babbo Guido che, andato in pensione prima del tempo, si ritrova a combattere con i primi segnali del Parkinson. Alla cerimonia del figlio non ci saranno i genitori (proprio per i disturbi del padre che avrebbero reso difficile lo spostamento da Firenze a Milano) ma come testimoni di nozze avrà non proprio due persone qualunque: i colleghi e teneri amici Raimondo Vianello e Sandra Mondaini. Renzo sin da bambino non aveva mai avuto la presenza fissa del padre, ferroviere e quindi legato ad orari bizzarri e con poco tempo libero, e perciò aveva trovato nel nonno materno una guida essenziale non solo per l’avviamento artistico quanto a livello affettivo. Forse anche per questo che vivrà la scomparsa del padre (avvenuta circa vent’anni dopo il suo matrimonio con Eileen) in maniera meno coinvolta emotivamente di come invece dovrebbe essere in “natura”. Messi da parte i festeggiamenti c’è la carriera da portare avanti e con i “Sogni muoiono all’alba” di Indro Montanelli inizia il percorso d’affermazione fino ad allora solo coltivato ma mai raccolto negli anni precedenti.


Lo storico Indro Montanelli: nutriva una profonda stima per Montagnani

Le cure per tamponare la malattia del padre tuttavia sono assai costose e Renzo dalla fine degli anni cinquanta in poi inizierà ad accettare qualsiasi parte gli venga proposta, che siano opere teatrali, film considerati di poco conto o pubblicità del Carosello (come quella dell’orzo solubile). Quel che guadagna non è tanto ma le spese iniziali per il genitore sono un nulla rispetto a quelle che arriveranno con la nascita del figlio…e non riguardanti i “classici” esborsi necessari per far crescere un bambino. Daniele viene alla luce nel 1963 quando Renzo lavora nel Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia e quindi non può assistere direttamente al lieto evento. Riceve la notizia per telefono e, come naturale che sia, gli occhi gli si riempiono di gioia come non mai ma quelle lacrime impiegarono poco tempo per prendere il retrogusto amaro e pieno d’infelicità. Il figlio fino ai quattro anni non parla e non riesce a rimanere concentrato a lungo; i dubbi diventano certezza quando i nuovi genitori decidono di portarlo a dei controlli e i responsi parlano di una lesione al lobo temporale sinistro collegata all’uso del forcipe. All’epoca molti bambini furono vittime di quello strumento usato per facilitare l’uscita dal grembo nei parti complicati ma molto pericoloso nel creare problemi cognitivi, esattamente ciò che accadde al piccolo Daniele. Il ragazzo è alto e bello come la madre ma la sua esuberanza facilmente si trasforma spesso in violenza, vista anche l’enorme forza fisica a disposizione (da piccolo calciava dei tiri al pallone potentissimi). Diventa impossibile lasciarlo in una classe “normale” e l’Italia di quegli anni non è mentalmente e strutturalmente pronta per trattare dei casi del genere. Costosissime visite specialistiche e continui viaggi fra le nazioni europee non sono sufficienti a risolvere il problema e l’unica soluzione resta quella di portarlo a vivere in Inghilterra insieme alla madre, dove ci sono impianti pensati e costruiti apposta per chi ha i problemi di Daniele. Nella terra anglosassone può dividere le sue giornate fra sport ed attività varie che, seppur con grandi difficoltà, gli consentono un’esistenza più o meno tranquilla. Renzo si butta anima e corpo nel lavoro non solo per tornaconto personale d’immagine ma soprattutto per guadagnare più soldi possibili utili alla buona causa del figlio. A teatro raggiunge la notorietà grazie a “Ti ho sposato per allegria”, la commedia di Ginzburg interpretata magistralmente dall’attore che veste i panni di Pietro, il marito della protagonista. Per quel ruolo era stato scelto nientemeno dal regista Luciano Salce dopo esser rimasto positivamente colpito da Montagnani durante opere pirandelliane portate in scena. Le repliche girano per tutto lo stivale italico ed ormai il nome di Renzo diventa sinonimo di garanzia. Però l’attore non può soffermarsi solo sulla qualità di ciò che mostra in scena, elevata ma ben poco remunerativa, e l’ingresso nel “nuovo che avanza” sembra la strada migliore da intraprendere: la commedia sexy!


La locandina de "L'insegnante viene a casa"

Siamo in mezzo agli anni di piombo che sembrano riportare gli italiani ad un clima ostile che l’Italia non respirava dai tempi della guerra; il conflitto mondiale aveva lasciato ferite aperte ma lo sviluppo economico facilitò il risveglio nei vari cuori di un sentimento d’orgoglio e di rivalsa. Quei conflitti interni portati in dote dal Sessantotto procuravano malessere e timori fra la persone che cercavano invece momenti d’evasione e spensieratezza…ciò che potevano offrire quei film lì! L’ Otello shakespeariano viene sostituito momentaneamente dalla Fenech e al posto del sipario il buon Renzo ha davanti a sé il fondoschiena della Bouchet come quello della Carati…non proprio un cambio a perdere. I nuovi compagni di Montagnani diventano Alvaro Vitali ed il mai dimenticato Mario Carotenuto e così l’attore nato ad Alessandria diventa in un batter d’occhio il “leader” del nuovo genere ribattezzato dai detrattori sexy-pecoreccio. 


Renzo e la Fenech in una scena de "La moglie in vacanza...l'amante in città", film cult del genere commedia-sexy

I soldi arrivano a palate tanto che riesce in una sola stagione di film a guadagnare molto di più rispetto a ciò che aveva ottenuto con i vent’anni del teatro; il bene di suo figlio e la sua famiglia ringraziano…la critica no! Proprio quest’ultima lo processerà ad ogni pellicola uscita, senza andarci delicata e non pensando al perché di quelle scelte. Renzo non parla quasi mai del suo dramma reale ma in quelle poche interviste concesse dichiara apertamente che le partecipazioni ad un numero infinito di film sono frutto di un bisogno sempre impellente di soldi, necessari per aiutare il figlio, o “bambinone” come lui lo definiva bonariamente. La critica continua a non sentire ragioni etichettandolo, anche quando porta in scena opere importanti, come un attore volgare che vuole mettere le sue battute da toscanaccio ovunque…come se fosse diventato dozzinale e senza arte tutto di un colpo. In “soccorso” dell’artista arrivò Monicelli che gli diede la parte del barista Necchi in “Amici miei - Atto II °”.


Fra zingarate e supercazzole, Renzo ed i suoi "colleghi" nel seguito di "Amici miei"

La commedia, pensata dal genio di Pietro Germi ma a causa di una malattia (che lo portò alla morte precoce) consegnata nelle mani dell’amico regista romano, poteva già vederlo protagonista in “Amici miei” del ‘75 nei panni del giornalista Perozzi ma erano già stati scritturati tutti gli artisti e la parte finì a Philippe Noiret. A Montagnani non restò che doppiare proprio l’attore francese e con la delusione nel cuore per non aver preso parte ai più celebri schiaffi del cinema italiano. Tuttavia i treni certe volte passano una seconda volta e Monicelli, nel secondo atto della commedia, conferì a Renzo il ruolo appunto del Necchi togliendolo a Duilio Del Prete. Il personaggio è forse il meno caratteristico ma viene elaborato egregiamente da Montagnani portando anche quella sana e reale toscanità che mancava in quel gruppo d’amici ambientato a Firenze (sarebbe stata scelta Bologna secondo le indicazioni di Germi ma poi considerata poco malinconica e troppo “festosa” da Monicelli). Con “Amici Miei” nasce la commedia all’italiana dove i finali comici e positivi lasciano spazio alla malinconia e agli spunti riflessivi immancabili in certe pellicole…per Renzo un altro successo. Il teatro è stato sempre la sua passione più genuina ma quei “tradimenti” lo arricchivano mille volte di più ed eccolo allora tuffarsi pure nel varietà con “Ci pensiamo lunedì”. La trasmissione degli anni ottanta andava in onda nel preserale e quel suo Don Fumino ricevette un grande successo di pubblico, intenerendo giovani e meno giovani. La morte della madre (1980) lo distrusse emotivamente per lungo tempo e quel vuoto creatosi venne in parte colmato solo dai successi arrivati nel lavoro, diviso fra tv, teatro ed appunto varietà. Renzo riusciva perfettamente in tutto perché studiava ogni minimo particolare come in quella miniserie “La guerra al tavolo della pace” dove vestì i panni di Josif Stalin; pur di evidenziare l’immobilità del braccio sinistro del dittatore sovietico, decise di non muovere il suo per ben 42 giorni riuscendo ad assumere una postura attinente al reale handicap. La sua arte spaziava su ogni campo ed un’altra dimostrazione fu la presenza come conduttore insieme a Mariolina Cannuli nel programma musicale “Milledischi”, ideato da Maurizio Costanzo, che ebbe un’ottima risposta di pubblico. Nella sua vita artistica però c’è pure il doppiaggio dove passò alla storia per aver dato la voce al gatto Romeo negli Aristogatti. Il felino, “er mejo gatto der Colosseo", è pensato per parlare con l’accento romano, ben diverso dal fiorentino di Montagnani ma l’artista se la cava benissimo con le varie inflessioni e la sua voce è una delle più apprezzate del capolavoro Disney. Purtroppo i drammi non l’interpretava solo sulla scena ma li viveva quotidianamente nel suo mondo reale, costretto a vivere lontano dalla sua famiglia e ben consapevole delle condizioni del figlio; tutto ciò lo portò spesso e volentieri a rifugiarsi nell’alcol in particolar modo quando certi pensieri gli invadevano oltremodo il cervello…a lui piaceva prendere la vita con il sorriso e del posto per le angosce ne avrebbe piacevolmente fatto a meno. Altri successi arriveranno fra il terzo atto di “Amici Miei”, “Giocare d’azzardo” con la giovane regista-amica Cinzia TH Torrini, una sublime rappresentazione di Zeno Cosini ne “La coscienza di Zeno” e l’indimenticabile film tv “La giacca verde” dove è l’orchestrale Romualdi ma per Renzo è l’ora di combattere ancora una volta ed in prima persona con la vita.


Enio Drovandi e Renzo nel film "Rimini Rimini - Un anno dopo (1988)

Lui cercava il lato positivo anche dopo la malattia del padre e non si scoraggiava per le condizioni del figlio ma questa volta doveva fare i conti con qualcosa di più grande: il tumore al fegato. Certi dispiaceri, sempre frequenti nella sua esistenza, mischiati a qualche bicchiere di troppo l’ho distrussero fisicamente visto che dal lato mentale non si sarebbe fatto metter ko nemmeno dal più feroce dei pugili. Nel 1994 a Castiglioncello, dove diversi attori trascorrevano parte dell’estate, tornando con la sua vespa prese in pieno una buca andandosi a schiantare verso una macchina parcheggiata: il referto riportava ben tre costole rotte e ferite varie ma nulla di tutto ciò gli impedì di rallegrare in pochissimi minuti i pazienti presenti e tutto lo staff medico grazie al suo infinito repertorio di battute e alla travolgente simpatia…anche e soprattutto questo era Montagnani. Un giorno quando un amico gli chiese che dieta stesse facendo visto che lo trovava dimagrito rispose senza pensarci “il tumore…provalo anche te, fa miracoli” e tutto questo seguito da un enorme sorriso che solo in pochi riescono a trovare in certe situazioni. Abbandonò questa terra il 22 maggio del 1997 senza aver avuto il tempo di guardare la sua ultima comparsa in uno degli episodi de “Il Mastino”, una serie tv che l’aveva coinvolto come guest star recitando su una sedie a rotelle viste le gravi condizioni in cui già versava. Le sue ceneri riposano in un cimitero a Stockton-on-Tees dove la moglie Eileen si era trasferita da tempo; accanto a quel deposito c’è anche il figlio Daniele morto sette anni più tardi a causa di un tumore al pancreas…un dramma così grande che neanche gli scenografi più illuminati avrebbero mai ideato. La vita di Montagnani è stracolma d'insegnamenti, seppur malinconici, e spunti riflessivi; forse il più importante di tutti è quello di pensare mille volte e mille volte ancora prima di giudicare le scelte degli altri perché ben poco possiamo sapere cosa bolle nell’intimo delle esistenze altrui. La speranza è che ora il padre ed il “bambinone” stiano bene, scambiandosi i tanti abbracci mancati nella piccola parentesi terrena a causa del poco tempo a disposizione e dei tanti problemi sopraggiunti; per Renzo c’è anche l’augurio di ritrovarsi lassù con quei quattro amici scapestrati…magari battendo insieme il ritmo dell’eternità a colpi di supercazzole e zingarate.

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