di Luca Fazi - Se scrivessi di Mario Girotti con tutta probabilità porterei fuori strada diverse persone non consapevoli a pieno del soggetto in questione ma se prendessi il suo nome d’arte, Terence Hill, allora non esisterebbero fraintendimenti. Come mai? Semplice, perché a quel nominativo fittizio abbiamo legato parte dei nostri ricordi più belli e spensierati, indistintamente dalla nostra età anagrafica. Poco importa quante candeline avevamo già spento negli anni settanta, ottanta o novanta dato che ancora oggi le nuove generazioni non rimangono insensibili al fascino di quei film. Il genere? Western, azione o semplicemente comico fate voi, sono tutte classificazioni adatte per quelle commedie impossibili da dimenticare. Trovatemi una persona dello stivale, una sola, che non abbia mai visto una loro pellicola: se dovesse malauguratamente esistere ditele di andarsi a confessare per poi provvedere con carrellate no stop delle varie proiezioni. Ops, ho scritto “loro”? Va bene dai, non c’è nessun segreto perché anche il più profano del genere sa benissimo che parliamo di una coppia formidabile dal successo maestoso, ovvero Bud & Terence. Perdonatemi se uso la “e commerciale” o come dicono quelli bravi l’ampersand ma converrete con me che l’abbinamento dei due è praticamente obbligatorio come se trattassimo di un marchio rinomato; Spencer e Hill esplosivi come l’unione tra l’acido nitrico e la glicerina. A differenza del risultato chimico però i due attori sono bonariamente letali pure presi singolarmente, anche se è stato il loro legame a renderli per sempre immortali. Mario nasce nel ’39 a Venezia da madre tedesca e padre umbro (di Amelia) e all’età di sei anni andrà a vivere proprio nel cuore verde d’Italia dopo aver passato un brevissimo periodo in Germania. A soli 11 anni, durante una gara di nuoto, viene osservato dall’immenso regista Dino Risi che decide di scritturarlo per il suo film “Vacanze col gangster”; il bambino è fortemente timido e sembrerebbe inadatto ma decide, è proprio il caso di dirlo, di tuffarsi in questa nuova avventura. Comincia a prenderci gusto ed aumenta il suo bagaglio formativo con il peso dell’esperienza maturata in piccole ma assidue parti. Mario diventa ragazzo e c’è una laurea in Lettere e Filosofia ad attenderlo anche se il ruolo dell’attore trova sempre più terreno fertile nel suo cuore; così, dopo la prestigiosa chiamata di Luchino Visconti per dargli un personaggio nel “Gattopardo”, comprende quale sarà la strada futura e dove investire tutte le proprie energie.
Nel frattempo compare in “Annibale” (1959) dove condivide il set, senza aver modo di incrociarlo, con Bud Spencer al secolo Carlo Pedersoli. Niente paura, tempo otto anni e i due si uniranno per la prima volta: nel ’67 esce “Dio perdona…io no!” diretto da Colizzi. Genere esclusivamente western che sulla carta non prevedeva la presenza di Mario Girotti; la parte era stata pensata per Peter Martell (Pietro Martellanza) ma quest’ultimo si ruppe un piede durante le riprese iniziali. Aveva avuto un acceso diverbio con la propria ragazza e cercando di tirarle un calcio (la fonte della caduta da cavallo è poco accreditata) la mancò andando a colpire il muro dietro di lei…grazie alla stravagante casualità venne scelto Mario e fu l’inizio di una lunga e fortunata serie di film fatti insieme all’amico Bud. L’unico problema era il nome dell’artista; troppo italiano quel Girotti e poco incisivo, quindi andava cambiato. Gli venne data una lista con circa venti alternative ma quel Terence Hill fu il primo a balzargli all’occhio…mai scelta fu più azzeccata. Nei film non si sentirà mai la sua voce originale, utilizzata solo nelle versioni inglesi, perché continuamente doppiata nel corso della carriera. L’arrivo del genere spaghetti-western segnò la definitiva ascesa della coppia…e pensare che anche questa volta Terence non era il prescelto. Nel 1970 prende corpo “Lo chiamavano Trinità” ma in origine per il suo ruolo era stato cercato Franco Nero che rifiutò per un impegno già preso con una produzione americana…quando si dice il destino.
Da lì in poi non ci sono parole adatte per descrivere la grandezza e la bellezza di certi girati ma in compenso esistono un’enormità di immagini alquanto eloquenti. Scazzottate, battute comiche, situazioni al limite del paradossale: insomma tutti ingredienti fondamentali per un prodotto di qualità e di successo. E’ curioso inoltre osservare nei film come la figura di Terence sia esattamente contrapposta all’essenza reale del Mario Girotti fuori dal set. Magari meno timido di quando iniziò a frequentare gli Actors Studio proprio per sconfiggere le insicurezze ma comunque un uomo riservato e ben lontano dal protagonismo. La massima trasgressione poteva esser rappresentata semmai da una passione giovanile per James Dean, eroe maledetto senza regole da seguire e che Terence aveva apprezzato moltissimo in “Gioventù bruciata”. Per il resto vita tranquilla e salutare, con una passione sfrenata per le mele. Davanti alla cinepresa (da notare in certi spezzoni) come nel quotidiano ha avuto sempre una predilezione per questo frutto, tanto da esserne ghiotto e grande consumatore. Lui stesso dirà “fanno bene e sono buone: per questo ne tengo sempre una in tasca”. E’ chiaro però che, parlando di quelle pellicole, gli alimenti da sottolineare non possono essere delle banalissime mele ma i famigerati fagioli. Chi di voi non ha sentito i morsi della fame guardando quelle padellacce unte e arrugginite ma piene di quei succulenti legumi? La tecnica per girare quelle scene era sempre la stessa, ovvero digiuno completo per 24 ore e risultato garantito; i piatti venivano letteralmente divorati dando un senso unico di realismo. I fagioli naturalmente non erano cucinati a caso ma accompagnati seguendo un preciso e gustoso procedimento: cipolla fritta, pepe e soprattutto chili piccante in quantità industriale.
Potete ben capire che per Terence e Bud quelle scorpacciate non erano un sacrificio eppure Mario, una volta tornato a casa, non chiedeva altro che spaghetti con il ketchup…il suo piatto preferito! Per quanto riguarda invece le storiche scene delle partite a carte va detto che anche lì c’era un trucco chiamato Tony Binarelli. Il noto illusionista ha prestato le sue abili mani per “…continuavano a chiamarlo Trinità”, vestendo i “panni” non solo di Terence ma anche quelle di Wild Cat Hendriks, lo sfidante al tavolo di gioco. Tutto curato nei minimi particolari come le unghie sporche di Trinità e quelle pulite del malcapitato: appartenevano sempre quelle a Binarelli ma adattate in base al personaggio.
Dopo quei film ne seguirono altri staccati dal genere western e molto più d’azione ma con lo stesso esito: risate a crepapelle! Anulu, la fatalona, Mescal e l’inconfondibile musica pop-country dei fratelli De Angelis (Oliver Onions)…tutti volti e scenari rimasti impressi nelle nostri menti, pronti a rivivere dopo aver rivisto questo o quel determinato film per la milionesima volta. Una coppia a dir poco geniale che solo una mente diabolica avrebbe potuto creare, per intenderci alla Lucifero…è chiaro, parlo del “professionista dell’est”! La bellezza di 18 film insieme, 16 dei quali girati come coppia protagonista; Terence non ha mai negato che il preferito della sua carriera fu “Il mio nome è Nessuno” (dove Bud non è presente) ma al contempo sottolineò spesse volte quanto quelle pellicole condivise con l’amico-collega gli segnarono in positivo la vita artistica.
Non pago del ruolo di attore, si cimentò pure alle regia dirigendo “Botte di Natale” del 1994, l’ultimo atto della ditta Spencer-Hill; la sceneggiatura fu affidata al figlio di Terence, Jess. Quello adottivo invece, Ross, morì giovanissimo nel 1990 a seguito di un incidente stradale: l’ambito familiare venne stravolto e per l’attore iniziò una profonda fase di depressione. Va a cavallo da quando aveva dodici anni, pratica lo sci di fondo, ama le moto (Harley-Davidson in particolare), segue la Roma come squadra del cuore ed ascolta musica classica…ma nessuna attività riuscirà a coprirgli il rumore grigio del dolore. Gli anni novanta lo vedono praticamente fuori dalla scena ma l’arrivo del nuovo millennio lo rimetterà al centro di un progetto importante e con la sua voce originale: nel 2000 parte “Don Matteo”.
Chi avrebbe mai scommesso che la seconda vita artistica di Terence, conosciuto da tutti per maneggiare armi e cazzotti, ripartisse dalla colorita figura di un prete di paese (Gubbio prima e Spoleto poi) più propenso al dialogo rispetto alle risse da saloon. Tutto torna? Direi di sì visto che la serie televisiva viene girata proprio in quell’Umbria dove sono piantate da sempre le sue radici. Se non avesse fatto quei film insieme a Bud avrebbe riscosso ugualmente successo? I condizionali non fanno la storia ma ad onor del vero va ricordato che al signor Mario non mancarono importanti proposte lavorative, una su tutte la parte da protagonista per “Rambo”. Ebbene sì, era stato individuato lui al posto di Stallone ma l’eccessiva violenza del personaggio e la strada artistica già indirizzata verso un altro genere lo portarono a rifiutare il ruolo. Scelta sbagliata? Ogni valutazione va giudicata in base al momento e ad altre infinite componenti ma i risultati finali parlano chiaro: 11 dei 100 film italiani con più incassi dal 1955 al 1999 sono quelli con Bud e Terence…se hai dei numeri così i rimpianti possono essere ben pochi. C’è un fermo immagine ben preciso che mi piace ricordare della coppia prima della scomparsa di Carlo Pedersoli, risalente al 2010, ossia quando ricevono il David di Donatello alla carriera.
L’età avanza, soprattutto per Bud, eppure quel profondo affetto reciproco traspare incurante del tempo come un’amicizia autentica che con gli anni si mostra ancora più dolce e genuina. Un giorno, il più lontano possibile, Terence rivedrà il suo compagno di mille scazzottate; si potranno riabbracciare e magari sfrecciare insieme nell’autostrada del cielo…ovviamente sopra una dune buggy rossa fiammante…ovviamente con cappottina gialla!
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