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18 Maggio 1920: cento anni fa nasceva Karol Wojtyla

Aggiornamento: 14 lug 2020


- di Luca Fazi - 27 marzo 2005: celebrazione della Pasqua. C’è uno speaker che impartisce la benedizione Urbi et Orbi e che parla al posto del Santo Padre, ormai martoriato dalla malattia. Non si era mai fermato, neppure al cospetto di quei tremori che in pochi anni lo avevano debilitato nel fisico… ma non nella mente. Così Giovanni Paolo II, con la forza di chi fino all’ultimo respiro vuole esserci, si avvicina al microfono e cerca di parlare alla folla; non ci riesce poiché la voce non supporta ciò che gli esce dal cuore. La gente di piazza San Pietro allora applaude e fa partire quel coro da “stadio” che commuove il sommo pontefice: “Gio-van-ni-Pao-lo”.

Il 30 marzo ci riprova per salutare i ragazzi dell’arcidiocesi di Milano ma il suono è poco più di un respiro. Tre giorni più tardi abbandonerà questo mondo tornando alla casa del Padre.

Karol Wojtyla sì, ha fatto i conti con la sofferenza sin da giovanissimo. Una sorella mai conosciuta, un fratello morto prematuramente e la madre persa che non aveva nemmeno dieci anni: quando quest’ultima venne a mancare disse, pur essendo solo un bambino, “era la volontà di Dio”.


Karol Wojtyla da bambino con i suoi genitori

Poi la storia, fatta di guerre e sangue innocente che non hanno risparmiato la sua Polonia. Sotto l’invasione tedesca si salvò solamente grazie al proprio lavoro; dopo aver fatto il fattorino, si adoperò in una cava di pietra e nella produzione della soda caustica. Vista l’importanza e l’utilizzo che se ne faceva durante il periodo bellico, al giovane Karol venne rilasciato un documento di identità che di fatti lo salvò, preservandolo dalla deportazione in Germania.

Fu fortunato anche quando un camion tedesco lo investì, cavandosela con due settimane in ospedale dopo un grave trauma cranico. Uscì indenne pure dal rastrellamento di Cracovia nel ’44, nascondendosi dietro una porta della propria abitazione.

Concluso l’orrore nazista (durante il quale entrò nel seminario clandestino) arrivò quello comunista: dal regime l’ordine era chiaro, ossia emarginare ed eliminare tutti coloro che avrebbero potuto rappresentare un ostacolo alla politica del partito.

Negli anni sessanta Wojtyla, nominato arcivescovo di Cracovia e poi cardinale, si batte affinché nelle università e in tutti i luoghi pubblichi non venga negata la libertà, tra tutte, di pensiero e di religione. Nel giornale diocesano difatti fa pubblicare, in barba al regime, tutti quei libri censurati o proibiti totalmente dalla dittatura. In seguito, una volta nominato Papa, non si sottrae dal mostrare il proprio sostegno al sindacato di Solidarnosc, da sempre anticomunista e in contrasto con il governo.


Giovanni Paolo II insieme al Lech Walesa, fondatore di Solidarnosc e Premio Nobel per la pace 1983

Il doppio conclave del 1978, dopo l’improvvisa morte di Albino Luciani, lo eleggerà vescovo di Roma, risultando favorito a discapito delle ben più quotate “candidature” dei cardinali Siri e Benelli. Il 16 ottobre di quell’anno diventerà per eccellenza la linea spartiacque della Chiesa: il prima e il dopo l’avvento di Giovanni Paolo II. Torna sul trono di San Pietro un Papa non italiano (l’ultimo fu Adriano VI nel 1523) e che sa parlare ai giovani come pochi.

Non abbiate paura… aprite, anzi spalancate le porte a Cristo” sarà una delle frasi più iconiche pronunciate per la messa di inizio pontificato.



Wojtyla è un Papa innovativo e al contempo conservatore. Elimina le formule pleonastiche tanto care in Vaticano e bada alla sostanza, tuttavia si dimostra tradizionalista sui temi più scottanti come aborto ed eutanasia che ribattezza la “cultura della morte”.

L’attentato del 1981, per mano del terrorista turco Ali Agca (presumibilmente comandato da KGB e Stasi), lo fortifica nella devozione totale (“Totus Tuus”, il motto utilizzato dal Santo Padre) verso la Madonna, in particolare quella di Fatima. Secondo Wojtyla fu la sua mano provvidenziale a deviare il colpo che per un nulla lo avrebbe ucciso (chiese di far incastonare il bossolo nella corona della statua dedicata alla Vergine); soccorso immediatamente, il pontefice si ritrovò in sala operatoria per un intervento che durò ben 5 ore e 30 minuti.


1983: il Papa perdona il suo attentatore

Il suo comunicare incentrato ai giovani trovò la miglior realizzazione nelle Giornate della Gioventù (da lui istituite) che, a partire dal 1985, avvicinarono moltissimi ragazzi al dialogo e al confronto con la Chiesa.

Giovanni Paolo II fu anche il Papa dei viaggi (le sue destinazioni superarono numericamente quelle di tutti i predecessori messi insieme), toccando in anni complicati dei paesi da sempre in conflitto con la cristianità e i suoi esponenti. Tra i discorsi più celebri non può che non essere menzionato quello del 9 maggio del 1993, nella Valle dei Templi, all’“indomani” della strage di Capaci:

“… lo dico ai responsabili, convertitevi!”.



Un Papa umile che chiese scusa per gli innumerevoli delitti perpetrati nei secoli dai cristiani. Un Papa sportivo, al quale calzò a pennello il soprannome “l’atleta di Dio”, in virtù delle passioni per la montagna (come ad esempio quelle camminate in Abruzzo nelle quali riprendeva le forze per affrontare le difficoltà della sua missione), per gli sci, per il nuoto ed infine per il calcio dove si dilettò da giovane come portiere.


Il Santo Padre immerso nella pace della natura

In vita beatificò e canonizzò molto più dei suoi predecessori e nel giro di appena nove anni dalla morte venne a sua volta beatificato e reso santo, rispettivamente dal Papa emerito Benedetto XVI e da Papa Francesco.

Nel corso del pontificato, durato ventisei anni (il terzo più lungo della storia), si trovò a fronteggiare i più disparati mali dell’età moderna, non per ultimi il capitalismo puro e l’eccessivo consumismo che, profetizzò, “useranno ogni mezzo per spadroneggiare, anche in maniera selvaggia”.

Gli ultimi anni del Papa furono quelli del calvario fisico: un tumore benigno al colon, diverse cadute con fratture riportate ed infine la diagnosi del Parkinson. Tuttavia il figlio di Wadowice non si arrese e decise di portare la propria croce fino alla fine, non tradendo mai quell’incarico ricevuto dal Cielo. Si spense, dicendo un “amen” come ultima parola, nella sua stanza privata dove teneva sul tavolino la foto dei propri genitori.


Se ne andò umilmente, con la stessa povertà che lo aveva accompagnato all’inizio del percorso terreno. I funerali dell’8 aprile (sei giorni dopo la morte) resteranno eternamente impressi nelle nostre menti: una semplice bara di legno di cipresso, appoggiata sulla nuda terra. Sopra di essa un vangelo aperto con le pagine accarezzate dal vento: è la vita che ha ripreso a soffiare.


FOTOGALLERY


Karol Wojtyla da ragazzo

L'amicizia con Madre Teresa di Calcutta


Durante l'eclissi solare del 1999


Giovanni Paolo II in preghiera ad Auschwitz

Riceve gli occhiali speciali di Bono Vox, leader degli U2

Il suo ultimo Venerdì Santo, impossibilitato a partecipare fisicamente alla Via Crucis

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