top of page

Vittime delle Foibe: l'atroce fine di Norma Cossetto

  • Immagine del redattore: Luca Fazi
    Luca Fazi
  • 10 feb 2019
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 10 feb 2022


ree

E’ consuetudine affermare che sono i vincitori a scrivere la storia ma il “dubbio” sorge spontaneo: esiste la gratitudine del trionfo se questo comporta l’avvento di cadaveri come fossero pioggia nel bel mezzo di un temporale? Inoltre, è piacevole la scrittura se al posto dei fogli bianchi viene usata la pelle insanguinata di infiniti corpi e la penna non è altro che un mitra piuttosto che una bomba pronti a seminare morte? Mi rendo conto che commentare conflitti mondiali o guerre civili, stando comodamente seduto e al caldo, non può essere il giusto sistema per giudicare situazioni e vicende vissute da dei protagonisti che non avevano il tempo di riflettere e soprattutto la serenità nell’animo; quando lo stomaco è vuoto da giorni e la propria vita continuamente in pericolo riescono male i pensieri filosofici… e l’istinto animale prevale su tutto e tutti. Esistono però storie di violenze gratuite che per troppi anni sono state sepolte sotto un cumulo di neve apparentemente perenne per le basse temperature… ma prontamente tornate a respirare con i primi raggi di sole. Le vittime delle foibe meriterebbero - tutte - di essere citate e ricordate (e per questo esiste un giorno del ricordo,10 febbraio) ma molte di queste non hanno più un volto, divorato da quelle maledette cavità che per anni sono state teatro di efferati omicidi. Allora forse è corretto richiamare alla memoria una di queste, Norma Cossetto, che per la brutalità subita non è seconda a nessuno se piazzata in un’immaginaria e macabra classifica.


ree
L'imbocco di una foiba

Siamo nel 1943 a Visinada, oggi città croata, nella parte occidentale dell’Istria ed il territorio è storicamente “caldo” per le conquiste susseguite nei secoli e i vari “padroni” che si sono alternati al comando. Norma vive con la madre, sua sorella Licia e il padre Giuseppe, quest’ultimo dirigente locale del PNF nonché podestà e uno dei più benestanti della zona…l’obiettivo principale da colpire per partigiani slavi intenti a rovesciare la situazione presente. La famiglia Cossetto viveva in tranquillità (per quanto possibile sia in periodo in guerra) e la ragazza, dopo essersi diplomata, stava per laurearsi in lettere e filosofia all’Università di Padova. La sua mente viaggiava senza freni immaginando un futuro dedicato all’insegnamento e ad un ruolo da mamma che custodiva sempre nella parte più intima del suo cuore; il viso era solare e mai avara di sorrisi, pronti per essere regalati ai passanti incrociati nei suoi spostamenti in bici. Prima però si è scritto del temporale e per la giovane donna, appena ventitreenne, si stava sollevando un vento freddo e nemico dal quale non ne sarebbe più uscita: il fulmine fu l’armistizio dell’8 settembre! L’accordo siglato fra Italia ed Alleati difatti sancì l’inizio di un incubo per Norma ed altre 11 mila anime. Dopo poco più di due settimane, il giorno 25, i partigiani fecero irruzione nella dimora della famiglia rubando tutto ciò che aveva valore e sparando colpi di mitragliatrice all’impazzata per spaventare le tre donne di casa, visto che il padre si trovava a Trieste. Le minacce dei titini in verità si erano fatte sentire già in precedenza ma non erano ancora passati alle dimostrazioni pratiche… e fu solo l’inizio. Il 26 tornarono nell’abitazione e non potendo sottrargli beni materiali (avevano già ripulito tutto) presero Norma per portarla in un ex-caserma dei carabinieri, sotto gli occhi impotenti e gonfi di lacrime della madre e di sua sorella. I partigiani le proposero di entrare nel loro movimento ricoprendo un ruolo di rilievo ma la giovane rifiutò e non si sottomise alle varie provocazioni. Venne rilasciata (forse grazie anche alla conoscenza di una delle guardie, suo allievo nei corsi) immediatamente ma tempo poche ore (siamo già al 27 settembre) fu nuovamente arrestata e portata questa volta a Parenzo. Gli sguardi di Norma si rispecchiano in quelli di Licia: la madre ha una fitta al cuore e come un sesto senso capisce che sarà l’ultima volta che vedrà sua figlia viva. La sorella chiede ed ottiene di poterla andare a trovare per starle accanto e farle forza ma ora la situazione sembra più complicata del previsto e anche nel dolce viso di Norma si legge uno sconforto mai avvertito prima, come chi comprende di avere più poche chance. Nel frattempo avanzano i tedeschi che occupano Visinada, così i partigiani slavi (insieme a dei cani sciolti italiani) portano la ragazza insieme a tanti altri detenuti ad Antignana, dove prendono possesso di una scuola e la trasformano in un carcere: ha inizio il dramma! Norma, dopo percosse e sputi, viene legata ad un tavolo; il golfino di lana strappato all’altezza del seno e la lunga gonna tirata completamente su. Le gambe ferocemente divaricate e diciassette titini pronti a stuprarla per piacere e in segno di sfregio. “Mamma, aiutami, mamma ti prego” le parole che urla (come verrà riportato da una vicina svegliata dalle grida e testimone oculare della scena), le uniche che riescono ad uscire. In quello schifo totale la sola cosa da ricercare come evasione diventa la purezza e per Norma nulla è più confortante del pensiero per sua madre… un’invocazione, una preghiera che rimarrà inascoltata. Fu violentata dai diciassette e pugnalata nei seni come ultima umiliazione o quasi prima di essere infoibata (foiba di Villa Surani). C’è un copione da rispettare e i partigiani non perdono una battuta: polsi incatenati con il filo di ferro e poi un altro più lungo usato per legare insieme l’intero gruppo. Un colpo di pistola, uno solo, per far crollare il primo e per effetto domino tutti gli altri in una vera e propria mattanza… siamo nella notte fra il 4 ed il 5 ottobre. Di naturale c’è solo la loro formazione morfologica, per il resto quegli imbuti profondi anche 200 metri sembrano opera di un demonio che attende famelico nuove vittime da divorare. Alcune volte, per essere certi che non si salvasse nessuno, veniva lanciata pure qualche bomba ma non fu così nel caso di Norma. Tutti furono fatti precipitare vivi ma le tre donne presenti (compresa la Cossetto) vennero prima nuovamente violentate... come se non avessero sofferto abbastanza.


ree
Alcuni cadaveri riportati in superficie

Forse è qui che avviene un contatto al limite del paranormale: nello stesso momento (come ricostruito in seguito) in cui il corpo di Norma cadeva nella cavità, sua madre si svegliò all’improvviso in piena notte avendo visto in sogno sua figlia che la chiamava disperata. Chiese a Licia di guardare fuori dalla finestra perché forse era tornata sua sorella… ma l’unico movimento presente era quello delle foglie accarezzate da un vento che fischiava forte creando melodie sinistre. Il padre Giuseppe, appena informato dell’accaduto, partì da Trieste con la Milizia in cerca di sua figlia ma venne accoltellato dai partigiani il 7 ottobre e l’unica consolazione fu quella di poter riabbracciare la sua Norma nell’alto dei Cieli, luogo ben lontano da quegli orrori. Licia ritrovò il cadavere della sorella non prima di due mesi; il 12 dicembre la voragine di Villa Surani venne aperta grazie al lavoro dei vigili del fuoco coordinati dal comandante Harzarich. Norma fu il primo corpo rinvenuto, con i polsi legati, il golfino strappato come unico indumento ed un oggetto di legno conficcato nelle parti intime… l’ultima barbarie. I tedeschi non risposero con le carezze e, individuati sedici colpevoli, costrinsero questi a vegliare per un’intera notte la salma della povera Norma… vennero fucilati all’alba del giorno seguente. Con la fine del conflitto (e le firme dei vari accordi) aumentò copiosamente il flusso migratorio di tutti gli italiani (l’esodo giuliano-dalmata); quasi 350 mila persone che dovettero abbandonare le proprie case, non graditi dalla Jugoslavia di Tito. Non torneranno più i ventitré anni di Norma e la sua solarità… la sua tesi, Istria Rossa, non vedrà mai la luce e quella laurea honoris causa conferitale nel ’49 dall’Università di Padova non compenserà mai il danno subito. Spezzata la sua vita, quella dei suoi genitori, quella di sua sorella (che andò via da quei territori troppo carichi di ricordi negativi) e di altri 11 mila individui fra campi di concentramento slavi e vittime delle foibe.


ree
Il recupero di alcune vittime

Nell’Ateneo veneto è presente dal 2011 una targa dedicata alla giovane donna: la speranza è che quella lastra di metallo non resti lì senza ricevere importanza ma sia da sprono per ragazze e ragazzi desiderosi di sapere e disgustati dall’orrore delle foibe. Un massacro fin troppo celato, non raccontato per anni e puntualmente non inserito nei libri scolastici… ecco perché quelle anime sono morte due volte. Allora tornano le domande: chi la scrive la storia se il fiume non è ricco di parole ma colmo di sangue? Chi è il vincitore se si arriva ad uccidere il proprio fratello? Prima dei colori, delle fazioni, dei partiti, delle prese di posizione siamo uomini e donne figli dello stesso Dio… che almeno questo concetto non venga infoibato. Spero che lassù, cara Norma, tu stia ricevendo la serenità che noi uomini, rozzi e pieni delle nostre presunzioni, non abbiamo saputo darti in questo mondo e che il tuo martirio non passi inosservato, mai più! Ovunque tu sia, riposa in pace.

Commenti


SUBSCRIBE VIA EMAIL

© 2023 by Salt & Pepper. Proudly created with Wix.com

bottom of page