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  • Immagine del redattoreLuca Fazi

SCUSATE SE PEDALO (Marco il Pirata) di Luca Fazi

Aggiornamento: 18 ago 2023


Lo sguardo malinconico di un uomo ferito

Quanto sono lontani quei giorni di festa e gloria, dove tutti mi osannavano come fossi un eroe nazionale capace di aver salvato chissà quante vite…ma io ero “solo un ciclista. Eppure la gente mi voleva bene, o almeno quella che mi aspettava in strada ore ed ore incurante di ogni condizione atmosferica. Quando la strada si faceva più dura, quando contavano le gambe come la testa allora eccoli, pronti ad incitarmi con quel calore che ti penetra l’anima e desiderosi di vedermi attaccare…e puntualmente non rimanevano delusi. E’ vero, io e la bici siamo la stessa cosa ma non crediate che abbia praticato solo quella e devo ammettere che per un certo periodo ero attratto da ben altro. Nel mio paese quelli della mia età giocavano a pallone ed io, appassionato del Milan, mi feci segnare alla scuola calcio; per correre correvo ma non mi si doveva parlare del gioco di squadra. Amavo le azioni individuali e mi perdevo in quei dribbling infiniti portati all’ esasperazione…poi puntualmente arrivava il difensore roccioso e la mia corsa terminava lì. “Non hai il fisico” - mi dicevano - “ma solo grinta!”. Cosa diavolo ne potevano sapere che a me sarebbe servita solo la seconda! Ricordo perfettamente quando a casa costringevo mia sorella Manola a sfidarmi a braccio di ferro; c’era un solo di anno di differenza fra noi eppure vinceva sempre lei. Per anni le chiesi fino alla sfinimento di provare e riprovare perché non potevo darmi per vinto e prima o poi avrei dovuto batterla. Riuscì nell’impresa e non le chiesi più di farlo ma andai direttamente da mio padre per avere un nuovo sfidante…sono sempre stato così, dovevo avere un traguardo da raggiungere ed una volta conquistato sentivo la necessità di puntare più in alto. Come quando quei fighetti della GS Fausto Coppi di Cesenatico con le loro belle bici da corsa nuove mi sfidarono, convinti di darmi una lezione; presi immediatamente la vecchia bici da donna di mia madre e raggiunsi il gruppo. I chilometri passavano ma non riuscivano a staccarmi fino a quando arrivò la salita e fui io a sbarazzarmi di loro. Mi ricordo ancora la faccia sorpresa di quel Roberto Amaducci che nel tempo libero allenava i ragazzi; mi osservava come fossi un alieno e subito cercò di convincere mio padre per portarmi nel ciclismo. Povero babbo, mi aveva appena comprato gli scarpini nuovi da calcio ma pazienza…cosa non si fa per un figlio? Quando i miei decisero di regalarmi la bici erano già indirizzari su un modello ben preciso, valutando anche l’aspetto economico ma appena entrai nel negozio m’innamorai di un altro tipo…però costava 40 mila lire di più. Era tanta la gioia nei mie occhi che intervenne subito mio nonno Sotero a tranquillizzare mio padre dicendogli che avrebbe messo lui la differenza. Quanto mi volevi bene nonno…e quanto te ne volevo io. Non l’ho mai detto ma ho sempre pensato che in quelle salite storiche dei grandi giri eri sempre con me, al mio fianco, per poi aspettarmi in cima al traguardo con quel sorriso orgoglioso e il bastone che ho conservato per anni come una reliquia. Non avevo nemmeno 13 anni eppure già macinavo più di 130 chilometri al giorno.

Poi con il professionismo cambiarono tante cose, fin troppe…e raramente si trattavano di cambiamenti piacevoli. Accanto a me c’erano sempre più persone che prima, quando non ero ancora Pantani ma solo Marco, non avevo mai visto nemmeno in viso. Il 1994 mi aveva definitivamente lanciato negli alti livelli di questo sport e l’anno seguente sarebbe stato quello giusto per dimostrare ma soprattutto vincere qualcosa…ma non avevo ancora fatto i conti con la sfortuna, mia fedele e poco gradita compagna. Il Giro d’Italia del ’95 parte da Perugia ma senza di me visto che qualche giorno prima vengo investito da un vicino di casa…poco male considerando che ad Ottobre dello stesso anno mi succede la stessa cosa in corsa, però sto giro ho una gamba spezzata e quell’auto non doveva starci. Qualcuno dice che rischio l’amputazione, altri che non riuscirò più a camminare…ma io sono il Panta e dopo un anno e mezzo di duro lavoro torno in sella. E’il Tour del ’97 e quel giorno sull’Alpe d’Huez il mio urlo al traguardo è così forte che arriva fino in cielo…ero tornato a fare ciò che amavo, ero tornato il Pirata!

La squadra nuova tutta per me, la salute ritrovata e soprattutto la sfiga abbandonata; sembra tutto girare alla perfezione e non ho più scuse, il 1998 deve essere il mio anno e così sarà. ,C�|

Museo Pantani a Cesenatico: le varie maglie del Pirata e la sua bici Bianchi del 1998

Vinco il giro recuperando minuti su minuti a quella talpa svizzera che assomigliava tanto ad una macchina piuttosto che ad un uomo…sempre tutto calcolato al dettaglio, senza emozioni. A me invece piace far vibrare i cuori dando spettacolo, così vinco alla mia maniera, rimontando e portandomi a casa la corsa rosa. Al Tour non vorrei andare ma è da poco scomparso Luciano Pezzi che ha creduto in me quando non sapevo nemmeno io se fossi tornato a correre; lo devo soprattutto a lui che mi ripeteva come un mantra che avrei vinto la corsa francese. Ascoltavo le sue parole senza crederci fino in fondo ma in quei giorni mi rimbombavano nell’orecchio più che mai. Ullrich cominciò alla grande il Tour ma non riuscì a contrastarmi quando sulle Deux Alpes scrissi una pagina importante di quel ciclismo che piace a tutti, fatto d’imprese e di divinità su due ruote. In quel giorno presi la maglia gialla e la portai fino a Parigi…a Cesenatico mi trattarono come un re ed io piansi di gioia pensando a mio nonno e al grande Luciano. Gli infortuni sembravano alle spalle e all’apparenza sarebbe dovuto arrivare solo il buono…ma non avevo fatto i conti con qualcosa d’enorme.

Marco e la sua passione calcistica per il Milan

Nei mie quadri dipinsi pure un pesce grande che divorava quello più piccolo…forse avevo già intuito tutto. Sono morto quasi cinque anni dopo ma nessuno si rese conto che a Madonna di Campiglio era stato appena celebrato il mio funerale. Non parlo della mia carriera sportiva, stavolta non c’entra…lì mi hanno tolto la dignità di uomo. Ma dove sono tutti quelli che mi abbracciavano forte ed erano generosi di complimenti? E i mie compagni? Io li ho sempre difesi perché se la mia immagine poteva essergli utile era doveroso utilizzarla a fin di bene! Eppure, gli stessi ora stanno in silenzio e qualcuno gode di quel che ho subito. Dicono che sia un drogato…io? Non sono mai risultato positivo a niente ma fermato solo per dei valori fatti su esami incerti ed in via precauzionale. Perché nessuno dice che quelle macchinette risultarono inattendibili tanto da esser tolte in seguito? Perché parlano di doping quando di doping non si tratta? Ho corso sempre pulito eppure ora preferiscono cavalcare l’onda delle illazioni piuttosto che credermi. Ma cosa vi ho fatto? A me piaceva solo pedalare e vincere…ma onestamente! Non ho avuto mai problemi nel digerire la fatica in strada ma le accuse sulla mia integrità morale pesavano molto più di tremila salite. Allora si che mi sono fatto del male ma dopo esser stato tradito da quegli amici o presunti tali che mi hanno lasciato solo. Quanto mi mancavano le battute di caccia con mio padre e le chiacchierate con mia madre…ma ora non era più tempo. Le severe carezze del nonno non c’erano più e non esisteva Marco ma solo quel ciclista andato in rovina, come se tutte le colpe fossero le mie. Mi mancherà il ciclismo ma come dissi in vita senza presunzione anche io mancherò al ciclismo…e tanto! E allora parlo a quei tifosi che passavano le notti in tenda pur di vedermi passare per pochi secondi…il ciclismo è vostro! Non preoccupatevi per me, perché rivivo ogni giorno nei vostri ricordi e in quei bambini che per la prima volta stringono forte con le loro innocenti mani un manubrio, cercando un raggio di sole e qualche ora di serenità…come piaceva a me. Quanto sono lontani quei giorni di festa e gloria…ma anche quelli di calunnie e falsità.

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