Occorre morire per ricevere una punta di rispetto?
- Luca Fazi
- 16 ago 2019
- Tempo di lettura: 6 min

- di Luca Fazi - Nadia chiedeva di non essere trattata da malata ma come una guerriera che affronta una battaglia, poi la guerra, senza certezze; lo chiedeva non solo per fini egoistici ma allargava la sua preghiera specialmente per gli altri, affinché nessuno si sentisse solo. La propria visibilità poteva essere un amplificatore di messaggi positivi, utile come una scialuppa per il naufrago incapace di nuotare in un oceano profondo e pieno di squali, e così la piccola ma grande donna lombarda non ci pensò due volte a dare un contributo. Nel dicembre del 2017 il primo malore a Trieste poi una diagnosi precoce quanto aggressiva: tumore celebrale. Qualche settimana lontana dal lavoro, i primi rumor a riguardo e alla fine è la stessa iena, in diretta tv, a rendere chiara la situazione: “Ho avuto un cancro, mi sono curata con chemio e radioterapia… ora, facendo le corna, è tutto finito”. Purtroppo gli scongiuri non sono bastati e nella mattina del 13 agosto 2019, dopo mesi e mesi combattuti da leonessa, la giornalista italiana ha lasciato questo mondo. Nel frattempo, fra l’inizio del calvario e il suo epilogo che cosa ha fatto Nadia Toffa? Semplice, si è spezzata in quattro per essere la voce di tutti coloro che, inchiodati in un letto di ospedale e in continuo bilico tra la vita e la morte, non hanno la popolarità e spesso le forze della conduttrice Mediaset. Come? Mettendoci la faccia, rendendo pubblico il suo percorso di cura e scrivendo un libro, “Fiorire d’inverno”, dove non solo (in parte) condivide i propri pensieri ma specialmente invita le persone a reagire, in qualunque situazione, con orgoglio e tanta tenacia… come un bocciolo che non si arrende nel periodo più freddo e quindi difficoltoso dell’anno. Mi sono chiesto infinite volte dove riuscisse a trovare un simile coraggio; lei stessa aveva davanti il domani sottoforma di un enorme e minaccioso punto interrogativo eppure, esternando serenità, lottava cercando di distribuire le armi ai più indifesi. Chi di noi riuscirebbe a fare lo stesso? Il suo sorriso, immancabile anche nei momenti più grigi, è stato un prezioso conforto non per tutti ma per tanti decisamente sì. Eppure, anche davanti a un simile esempio, c’è stato chi puntualmente ha avuto da ridire sul comportamento tenuto dalla giornalista. “Le persone normali aspettano mesi e mesi per una visita, invece lei…” oppure “Guarda sta put***a cosa si inventa per la notorietà”, sono state le prime tipologie di commenti squallidi pervenuti attraverso i social. Gli hater, che nella quasi totalità dei casi non sono solamente degli odiatori seriali ma piuttosto degli imbecilli patentati, si sono divertiti nel vomitargli addosso qualsiasi ingiuria, etichettandola come una furbacchiona in cerca di like facili. C’è stato chi asseriva che si fosse inventata tutto e chi, senza giri di parole, le augurava di morire al più presto; sicuramente per la Toffa tutti quei messaggi non erano dei cioccolatini ma nonostante ciò sapeva rispondere a tono, con una classe appartenente a pochi: “Morire? Beh probabile… ho un cancro!”. La situazione non si placò anzi semmai aumentò con l’uscita del suo libro quando, in due post pubblicati per presentare l’opera, la iena scrisse così: “… in questo libro vi spiego come sono riuscita a trasformare quello che tutti considerano una sfiga, il cancro, in un dono, un’occasione, una opportunità”.

Blogger, giornalisti, giornalai e compagnia (in questo caso) brutta, ne approfittarono scaltramente per sintetizzare la frase in un “il cancro è un dono” da poter spiattellare a caratteri cubitali come titolo dei vari articoli. La folla come reagisce? Non solo gli odiatori ma questa volta prendono animo anche i “condivisori” di fake news, esternando tutto il loro disappunto: “Per vendere due libri in più sta tr**a farebbe di tutto” è il leitmotiv che va per la maggiore ma certamente non l’unico. Chiedo scusa se riporto certe volgarità ma tengo a precisare che tali messaggi furono ben più cordiali rispetto a tanti altri irripetibili. Nadia intanto legge, quasi sempre ignora certe bestialità e continua le sue cure cercando al contempo di essere un esempio per gli altri malati che vedono il futuro nero come la notte. Tenta e riesce, seppur a fatica e con delle assenze, a tornare alla conduzione del suo programma, in quella squadra affiatata che l’aveva vista inviata per la prima volta nel 2009. Piccola ma senza farsi mettere i piedi in testa da nessuno, era riuscita ad entrare nelle case degli italiani grazie alla sua professionalità e alla sensazioni che regalava; sembrava (e così era) che prendesse a cuore le diverse questioni trattate e con passione si batteva per dare giustizia a chi non l’aveva. I servizi all’Ilva di Taranto furono l’emblema della sua determinazione tanto che venne premiata dalla stessa città come cittadina onoraria; insomma, il proprio lavora lo sapeva fare bene ma non era della stessa opinione chi ama vedere il marcio dappertutto.
Ecco allora altre critiche gratuite e quel “il cancro è un dono” viene usato come pretesto per screditarla e allegargli qualsiasi colpa… tutte senza ragione di esistere. Nella sua frase (quella completa e non quella pilotata ad hoc) ha cercato di far passare un messaggio chiaro quanto meravigliosamente forte: ci racconta come lei è riuscita a mutare la malattia in una possibilità per esaminare se stessa, guardare il mondo da un altro punto di vista e ricercare l’essenziale. Una specie di bagno interiore per depurarsi dal superfluo con la voglia di cercare la luce anche in pieno buio… come un sorriso che nasce tra mille volti incupiti. Parla della sua esperienza sottolineando quanto per andare avanti sia necessario un atteggiamento positivo e propositivo di fronte agli ostacoli della vita e che quest’ultima vada sempre e comunque affrontata al massimo, non sprecando neanche un giorno. E’ chiara anche nelle sue interviste: “Il cancro non è un dono, ci mancherebbe altro, ma con sforzo e determinazione si può trasformare in qualcosa di diverso… non l’avrei mai voluto e non lo potrei mai augurare a qualcuno ma c’è ed ho intenzione di lottare”.

E’ palese che il messaggio ha una forte carica emotiva ma risulta un invito a non mollare, altro che un tentativo di farsi pubblicità (semmai ne avesse avuto bisogno). Purtroppo il cancro ha toccato più o meno tutte le famiglie ed è innegabile che su questo tema i nervi sono ben scoperti, soprattutto se si tende a giudicare prima di informarsi, però il trattamento che ha subito per mesi Nadia Toffa è andato oltre il consentito… oltre il comprensibile e l’accettabile umanamente. Stava male e contemporaneamente veniva assalita dal “prestigioso” tribunale social dove ognuno sputa le proprie e quotidiane rabbie represse… chi di noi sarebbe in grato di reggere una tale situazione? Alla fine è stato esaudito il desiderio di chi le augurava la morte e spero di cuore che questi “signori” non avranno mai la capacità di rendersi conto della propria stoltezza… vivrebbero male e sentirebbero le aspre ferite dei rimorsi. Stranamente con la sua scomparsa si sono rivisti alcuni commenti degli stessi odiatori o condivisori di fake news che, nelle varie piattaforme social, hanno esternato un “commosso” saluto alla giornalista: e per fortuna che sarebbe stata Nadia quella in cerca di like. Per carità, le conversioni vanno accettate anche se tardive ma ho la vaga impressione che le facce da culo siano come le strade di Nostro Signore… infinite! Occorre morire per ricevere una punta di rispetto? Nel condire le nostre vite (e quelle degli altri) abbondiamo con la rabbia, le offese, la gelosia e i colpi bassi… possibile che sappiamo digiunare da queste porcherie solo in presenza di un lutto? Basterebbe pensare prima di parlare o meglio riflettere prima di un click… l’invio di un nostro commento può far male da morire, in particolar modo se il destinatario si trova già costretto a dover combattere per restare moralmente vivo e fisicamente in vita. Forse però è una battaglia persa dato che ancora, malgrado Nadia non sia più fra noi, alcuni simpaticoni si divertono a deridere via social la giornalista. Sarebbe buona cosa che alcuni resettassero il cervello (appesantito fin troppo da beceri file) ma per farlo occorrerebbe averne uno; poco importa però, perché nel futuro non resteranno tracce di questi “coraggiosi” hater che vivono di frequente nell’anonimato… mentre i messaggi d’amore e speranza della Toffa quelli sì… rimarranno in eterno. Riposa in pace piccola grande guerriera e se puoi perdonaci per la stupidità di certuni.













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