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Lady D: Il coraggio di una candela che non si è mai spenta

Aggiornamento: 1 lug 2021



“… mi piacerebbe essere la regina nei cuori delle persone”



- di Luca Fazi - Era impossibile non commuoversi in quel giorno di settembre, lontano ormai quasi un quarto di secolo ma amaramente recente per i cuori più sensibili, gli stessi che – forse – prima di tutti avevano captato, poi percepito ed infine amato la bontà di quel sorriso mai anonimo. Un sorriso che non celava il perenne accenno di tristezza. Un sorriso che al contempo si estendeva come il più potente degli ammutinamenti verso chi, non di rado, cercava in ogni modo di spegnerlo. Quanto siano costati quegli sforzi per andare avanti nonostante tutto e tutti non è consentito saperlo.

Il matrimonio del 29 luglio 1981

Che Lady Diana fosse una meravigliosa voce fuori dal coro si era capito sin da subito, già in occasione delle prime uscite ufficiali o meglio ancora alla nascita del primogenito William. Si attivò affinché l’erede nascesse in un ospedale pubblico, mettendosi contro l’intera Famiglia Reale e una tradizione che non contemplava, sino a quel momento, dei precedenti: fu la Principessa di Galles ad avere la meglio. Non c’è da meravigliarsi, in fin dei conti le priorità dei residenti di Buckingham Palace hanno viaggiato sempre su punti diametralmente opposti a quelle della donna di casa Spencer.

Se l’impegno sociale su tematiche scomode o poco conosciute non aveva mai mosso l’interesse dei primi, divenne al contrario un motivo di continua lotta per la seconda. Siamo a metà degli anni ottanta quando la disinformazione, i falsi miti e le errate campagne pubblicitarie gettano il panico sull’HIV e lo spettro dell’AIDS. I pazienti sono emarginati, spesso associati soltanto all’omosessualità e alla tossicodipendenza e condannati a subire il pregiudizio delle persone, oltre alle serie difficoltà scaturite dal decorso della malattia.


Lady D stringe la mano ad un malato di Aids

Diana è consapevole del suo peso mediatico (quando gli influencer non erano chiamati tali ma si adoperavano lo stesso per nobili cause e non per proprio tornaconto) e senza tirarsi indietro decise di visitare un centro di cura per malati di Aids. L’immagine in cui strinse la mano ad uno dei pazienti fece il giro di tutte le testate mondiali ed aiutò ad estirpare l’orribile pensiero comune secondo il quale il virus possa essere trasmesso anche tramite un abbraccio.

Le innumerevoli visite negli orfanotrofi e le incessanti battaglie a sostegno dei più deboli delineano la grandezza umana di una donna chiamata a lasciare il segno seppure su un breve cammino. Si spese molto per il bando delle mine antiuomo (memorabili gli scatti fotografici mentre indossa l’elmetto ed un giubbotto di protezione, durante una visita di un campo minato in Angola) e non è di certo esagerato collegare il suo impegno costante alle firme apposte sul trattato di Ottawa.

Alla pienezza degli impegni e della vita sociale se ne contrappose una matrimoniale completamente scevra di passione; le mancanze del Principe Carlo ed i reciproci tradimenti non servirono ad altro che a sbiadire un rapporto già privo di colorazioni. I problemi depressivi e i disturbi alimentari di Diana furono i lampanti esempi di un vuoto affettivo mai colmato. La dichiarazione rilasciata nella famosa intervista della BBC, “… eravamo in tre in quel matrimonio, un po’ troppo affollato”, fece luce su una situazione già ampiamente illuminata, spesso senza tatto, dalle pagine di gossip e dagli scatti rubati.

Del resto non sarà mai un anello in oro bianco, con quattordici diamanti attorno ad uno zaffiro di dodici carati, a sancire la spontaneità di un legame… non sarà mai un titolo rimosso (con il divorzio del ’96 le venne tolto il riconoscimento di Altezza Reale) a sminuire la nobiltà d’animo. Tentò di rifarsi una vita, per quanto la sua notorietà le concedesse di provare, ma non le fu dato il modo e soprattutto il tempo. Quel sorriso mai negato anche nei momenti più complicati iniziò a spegnersi in una maledetta galleria, all’interno della Mercedes in fuga dai soliti paparazzi accecati dallo scoop sensazionale: infruttuosa la corsa all’ospedale nella speranza di tenerla in vita. Le ultime due ore furono l’ennesimo calvario di un’esistenza non esente da martiri intollerabili.

E torniamo dunque al quel giorno di settembre. Una vera principessa del popolo non può andarsene se non con i giusti tributi di chi in lei – stavolta senza forse – ha saputo rivedere la genuinità della ragazzina comune, seppur proveniente da un’antica e nobile famiglia, amante della danza, a volte un po’ timida e con molti sogni nel cassetto. Alcuni è riuscita a realizzarli, in particolar modo quelli destinati agli ultimi, ed altri li ha coltivati seminando il bene nei cuori di chi continua le sue opere anche per lei. Infine gli altri ancora, quelli più personali, li ha dovuti tenere sigillati per molto tempo, nella speranza, un giorno, di poterli abbracciare e vederli esauditi prima che i trentasei anni apponessero il the end ad ogni logica.

In quel giorno di settembre ben tre milioni di persone decisero di riversare il proprio amore lungo le strade di Londra, omaggiando con lacrime sincere il passaggio del feretro. Ai margini c’erano anche quei bambini, divenuti ormai grandi, così come gli uomini e le donne che Diana aveva incoraggiato ed aiutato prestandogli la voce, mai accomodante quando si trattava di difendere i bisognosi. Erano stati gli stessi che con la morte nel cuore avevano richiesto, quasi gridandolo, le pubbliche esequie non immediatamente concordate dalla Famiglia Reale. Sì, non era passata neanche una settimana dal decesso ma quella sua speranza era già divenuta certezza: la regina nei cuori delle persone. Come un fiore che non intende appassire e destinato ad occupare gli infiniti e rigogliosi prati celestiali.

Goodbye England’s rose” – Addio rosa d’Inghilterra

Now you belong to heaven” – Ora appartieni al cielo

And the stars spell out your name” – E le stelle sillabano il tuo nome




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