top of page

La piastra del Biancospino: dove il pallone non rotola più

  • Immagine del redattore: Luca Fazi
    Luca Fazi
  • 10 ago 2019
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 11 ago 2019


ree

- di Luca Fazi - Qualche amico fidato, le giornate interminabili baciate dal sole e quel compagno di cuoio sempre sottobraccio: chi di noi, da bambino, non ha mai trascorso l’estate passando ore ed ore giocando a pallone? Un tempo aver un campetto a disposizione forse era un lusso per pochi, allora si improvvisava con delle magliette a mo’ di palo e la stessa sfera poteva tranquillamente esser fatta di stracci; da ragazzini la creatività non manca ed anche un campo di patate può avvicinarsi ad uno stadio da Serie A. Il quartiere Biancospino invece aveva un terreno di gioco, o per meglio dire piastra polivalente, dove il calcio era lo sport che andava per la maggiore. I verbi al passato sono purtroppo doverosi perché di quell’ambiente, per come era nato e riprogettato poi, non è rimasto più nulla. Niente spogliatoi sull’esempio di San Rocco (un punto di riferimento per molti giovani nel corso degli anni) ma soprattutto addio alla funzionalità originaria; via il bianco-verde (i colori del quartiere) che tinteggiava i “legni” delle porte (scomparse anche queste simultaneamente alle reti) e dentro una superficie azzurra (ora sbiadita in celeste) utilizzabile come pista da ballo durante la festa del Biancospino. Peccato che di quest’ultima non si riesce a garantire la presenza annuale (malgrado lo sforzo di generosi volontari) e così l’assenza della piastra lascia maggiormente l’amaro in bocca a chi, come il sottoscritto, ha trascorso mattine, pomeriggi e sere sul quel terreno, insieme ad una vasta comitiva di coetanei… come del resto fecero pure i nostri “fratelli” maggiori.


ree
La piastra ora

Pazienza se la rete di recinzione era spesso bucata e bisognava rincorrere quel pallone lungo il fiume Feo, superando pure il bar de Ciuffoletto; al diavolo se la sfera finiva quasi sempre sotto le macchine e per tirarla fuori diventavamo noi tutti degli abili contorsionisti: quel campetto ne ha visti passare tanti di giovani e a quel campetto abbiamo legato svariati quanto piacevoli ricordi. Sia chiaro, la zona non è stata affatto trascurata e osservare la presenza massiccia, quasi quotidiana, di bambini piccoli insieme ai genitori, che si divertono con i giochi installati nel verde, fa solo bene al cuore… ma il punto è un altro. Per tirare quattro calci ad un pallone (in sicurezza e senza dover fare lo slalom tra le vetture) si deve ricorrere quasi necessariamente al servizio a pagamento, dove da un lato trovi un luogo curato e protetto ma allo stesso tempo ti obbliga a fronteggiare delle spese che per qualche famiglia possono risultare non sostenibili. Il gioco di “strada”, quello puro e allo stesso tempo formativo, andrebbe tutelato come parte della tradizione e non ostacolato. Il peccato in questione è ancora più grave perché quel campo era stato costruito, poi molto apprezzato e di conseguenza utilizzato: ora vederlo “vuoto” provoca non poca tristezza. La gestione al Cva ha dato modo, come ho scritto, di non lasciare incustodita l’area che alla vista rimane gradevole, però sul discorso piastra vennero fatti diversi, troppi errori. Ciò va in coppia con la già citata San Rocco che, fra la presenza del sintetico e l’ottima copertura delle reti, attirava moltissima gente anche fuori Gualdo. Lì il discorso non riguardò esclusivamente l’abbandono ma anche un rozzo vandalismo capace di creare ingenti danni materiali, scoraggiando così pure quei giovani volenterosi che avevano risistemato e preso la gerenza dello spazio attiguo al terreno di gioco. Probabilmente, burocrazia permettendo, San Rocco tornerà a brillare nel giro di poco tempo ma il Biancospino? I bambini-adolescenti del quartiere potranno riabbracciare, anzi conoscere, una piastra tutta per loro dove riproporre le gesta tecniche degli idoli visti in tv, fantasticando su un futuro da calciatore?


ree
Sono state tolte porte e reti... ma non la voglia di giocare

Magari è tutto figlio dei tempi ed è innegabile che il calcio sia diventato uno sport meno seguito e praticato rispetto agli anni ’80-’90. Una volta nelle scuole, durante l’intervallo, era tutto uno scambiarsi di figurine Panini; quel “Celo Manca” si diffondeva lungo i corridoi come una melodia che il giorno dopo avrebbe ripreso puntuale le sue sonorità. La testa dei ragazzi era inclinata per guardare dove fosse finita la propria carta dopo il “Via!” urlato mentre si giocava a Muro… ora il capo resta comunque piegato ma per fissare l’insipido schermo di uno smartphone. Per Camus “Non c’è un altro posto del mondo dove l’uomo è più felice che in uno stadio di calcio”: magari sarà esagerato ma lo scrittore francese non sbagliò poi di tanto. Allora la speranza è che la piastra del Biancospino torni a rivivere come il campo conosciuto dai più ma al momento ignoto ai giovanissimi; affinché quei lunghi pomeriggi afosi, in attesa di un leggero refrigerio per poter giocare, o quegli interminabili triangolari serali con i ragazzi della zona non rimangano scenari tristemente fuori moda. Perché saranno solamente due pali messi “per dritto”, con una traversa e una rete più o meno improvvisata pronta a raccogliere il tiro… eppure tutto ciò è largamente sufficiente per far brillare di gioia gli occhi di un bambino. A quella tenera età nulla gira più veloce della fantasia, eccetto una cosa: quel fedelissimo amico di cuoio.


Articolo ripreso da Il Nuovo Serrasanta, numero di agosto 2019

Commenti


SUBSCRIBE VIA EMAIL

© 2023 by Salt & Pepper. Proudly created with Wix.com

bottom of page