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  • Immagine del redattoreLuca Fazi

Con l'amaro in bocca



- di Luca Fazi - Perché?

Certe volte risulta complicato trovare delle spiegazioni o, per meglio dire, delle risposte concrete che convincano prima di tutto noi stessi. Ieri sera, dopo aver acceso la televisione, ho iniziato a “vagare” senza una meta precisa, dedicandomi ad uno zapping altrettanto approssimativo. Pigiavo i tasti quasi per inerzia, mentre sorseggiavo una birra e al contempo, con la coda dell’occhio, controllavo la home di facebook: non si dica che il multitasking sia prerogativa appannaggio delle donne – quantomeno quello futile. Nella danza frenetica dei vari canali, mi sono soffermato su Rai 1 che proponeva “Festa di Natale - Una serata per Telethon”, il programma realizzato in collaborazione con la storica fondazione (vera eccellenza italiana nel mondo)… e lo zapping ha trovato il suo the end.

La prima immagine che vedo è quella di un bambino affetto da una malattia genetica rara, costretto a vivere su una sedia a rotelle prontamente personalizzata da un bellissimo stemma dell’A.S. Roma… la sua squadra del cuore. Porta il mio stesso nome, ma le correlazioni finiscono lì: lui ha soltanto dieci anni, una forza incredibile e – a differenza mia – la vita non gli ha sorriso, mettendogli davanti degli ostacoli sin dal primo respiro. Vicino ha un amichetto, quello del cuore… quello che c’è sempre, nonostante tutto. Lui può sedersi su una sedia normale ma il legame che li unisce va ben oltre a freddi telai e poggiapiedi pieghevoli: osservarli, l’uno accanto all’altro, tocca le corde del cuore.


Lo sguardo torna a focalizzarsi sul mio omonimo e gli occhi, senza opporre resistenza, si trasformano in un due piccoli laghi. Perché? Viene spontaneo domandarselo. Assistere alla sofferenza delle persone toglie sempre il fiato, ma quando questa pervade le giovanissime esistenze diventa ben più complesso: l’apnea emotiva si prolunga all’infinito. Si può essere genitori o non: vedere un bambino malato farà sempre più male (perdonate la ripetizione) di qualsiasi altro infermo. Gli interrogativi restano, come lame nel costato che nessuno toglierà; non spetta a noi giudicare, tuttavia continuano a provocare dolore.

Nel frattempo una vibrazione dello smartphone mi riporta con l’attenzione a quel diffusore di luce blu. Nella home del social scorrono alcune foto, appena caricate dagli autori, di aperitivi e banchetti senza il benché minimo rispetto delle norme di sicurezza anti-Covid: le mascherine sono un optional… delle distanze neanche a parlarne. Scenari che stonerebbero a prescindere, figurarsi per chi sta assistendo al programma su Rai 1.

Il parallelismo sorge spontaneo e muove un senso di rabbia, non semplice da frenare; da una parte c’è chi lotta ogni giorno con la cruda realtà e dall’altra chi, tra spumante e noccioline, scherza con il fuoco. Occorre veramente assaggiare il male per rendersi conto di quanto sia preziosa la nostra salute e quella di chi ci sta intorno? L’amarezza sale nel constatare che tra gli indolenti – ma sì, definiamoli per stavolta soltanto tali e lasciamo gli insulti da parte – sono presenti persino giovanissimi genitori che di certo trasmettono tutto tranne che il buon esempio.

Magari questi discorsi odoreranno di lezioncina, per qualcuno di ipocrisia e per altri ancora, colpiti nel pieno, daranno abbastanza fastidio (in tutti e tre i casi, consiglio vivamente di deporre sul tavolo la bottiglia del vino e tentare di esser lucidi per qualche secondo), ma poco importa.

Lo ammetto: vigliaccamente ho girato poi canale perché tutte quelle storie colme di dolore arrivano all’anima…e non è facile gestirle senza farsi travolgere. Gli interrogativi sono rimasti ma dei concetti mi si sono palesati chiari come non mai, seppur con l’amaro in bocca. La disabilità non si evidenzia solo con una sedia a rotelle e tra il bambino e i “fenomeni social”, senza dubbio, ad aver i problemi più seri non è il piccolo Luca.

In bocca al lupo per tutto, Grande Ometto.

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