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Antonio Campioni e quei rigori a Valsorda


- di Luca Fazi - Per ben più di tre lustri è stato una firma storica dell’Eco del Serrasanta, oltre che insegnante di scuola elementare a Morano, segretario del PCI, vicesindaco nei primi anni ’70 e molto altro ancora. Insomma, appare chiaro quanto la figura di Antonio Campioni, nato il 22 novembre del ’35 e scomparso nel 2005, non necessiti di copiose presentazioni.

Sanguigno e battagliero, è stato per molto tempo un volto noto della televisione locale grazie alla collaborazione con Gualdo Tv23 (prima ancora con Rete7); forse è proprio in quella veste che lo “conobbi”, mentre tra una notizia e l’altra se ne usciva non di rado con il suo “ecchese” (per pronunciare il prefisso ex) che ai miei occhi da bambino gli conferiva un indiscusso strato di pura simpatia. Il compianto Valerio Anderlini (altra personalità che non ha bisogno di un biglietto da visita), in un suo articolo commemorativo per l’amico e collaboratore scomparso, l’aveva descritto come una “straripante presenza” in virtù dell’immancabile impegno profuso senza riserve, oltre agli scritti spesse volte pepati e da contenere.


Scritto per Il Nuovo Serrasanta - Ottobre 2019

In queste righe, tuttavia, ho l’intento di raccontare Antonio Campioni tramite un divertente episodio accaduto diversi anni fa e del quale sono stato uno dei testimoni oculari… spero che la narrazione sia altrettanto gradevole per voi lettori.

Era un pomeriggio di luglio del 1996, quando i miei genitori mi dissero di salire in macchina per andare a riprendere mio fratello e un suo amico, entrambi reduci da un’uscita con il CAI. Non esternavo un grosso entusiasmo ma, nell’osservare mio padre che inseriva il pallone nel bagagliaio della Subaru, impiegai un nanosecondo a cambiare l’umore: ci sarebbe stato il tempo per tirare quattro calci! Giro di chiavi, accensione e via in direzione Valsorda con Hanno ucciso l’Uomo Ragno sparata a tutto volume… No, lo giuro, non ho una memoria di ferro quasi maniacale, ma da piccolo supplicavo mia madre affinché mi mettesse nell’autoradio sempre e solo la cassettina degli 883… sempre e solo quella! Altre opzioni, dunque, non sono ipotizzabili.

Arrivati dietro il campeggio Da Clelia, iniziai subito a rompere le scatole chiedendo a mio fratello e all’amico di poter giocare con loro; avrebbero fatto volentieri a meno di me, ma alla fine mi accontentarono e iniziammo a battere i primi calci di rigore. L’erba non manca di certo in montagna. Per quanto concerne i pali della porta, utilizzammo le nostre magliette e, come già detto, la sfera di cuoio c’era… cosa poteva servirci? Nulla, ma per completare il quadro sarebbe stato perfetto un dischetto in cui posizionare il pallone. Alla fine notammo, e suggerii, un segno bianco perfettamente circolare che sembrava l’ideale… non l’avessi mai fatto! Il punto prescelto, in realtà, non era altro che l’ultima traccia di un palo della luce rimosso, a dir poco maldestramente, alla base; presentava ancora un tacco di cemento all’incirca di 5-6 cm. La sua superficie, seppur irregolare, era concava e quindi ottima per accogliere il pallone e proteggerlo dal vento. Cominciammo a fare i primi tiri stando bene attenti a non farsi male e, ad onor del vero, non sempre colpivamo la sfera ma ci andavamo ad ogni modo con la gamba “preparata”, consci della situazione… noi!

Tutto eccitato sistemai il pallone e mi apprestai a battere l’ennesimo tiro quando, improvvisamente, ci accorgemmo che tre sagome, rese irriconoscibili dalla presenza del sole, stavano venendo verso di noi. Pochi secondi e scoprimmo l’insolito terzetto che tornava da una camminata: ai lati due suoi amici e al centro proprio lui, Antonio Campioni. “Ehi, ma è quello della tv!”, dissi a mio fratello con tono sorpreso. Era proprio lui, quel simpatico personaggio che guardavo attraverso i pollici del vecchio Philips.

Boccia levateve che ve faccio vedè io come se batte un rigore!”, esordì il giornalista che aveva già consegnato il suo bastone ad uno dei compagni di viaggio. Il pallone era stato posizionato in precedenza dal sottoscritto che, in maniera pessimistica, pensava intimamente: “Ecco, proprio quando toccava a me… va a finire che adesso non gioco più”. Gli amici nel frattempo lo prendevano in giro bonariamente ma Campioni, con fare sicuro e cercando di rispolverare il suo passato da discreto calciatore, non mostrava alcuna incertezza:

“Guardate come se fa”.


Antonio Campioni

Il giornalista si alzò i calzettoni da montagna e prese una rincorsa degna di nota, ma noi tre avevamo dimenticato – non volendo (ve lo giuro) – di avvisare l’ignaro maestro dell’insolito dischetto, oltretutto coperto in parte dall’erba un po’ alta. Un passo, poi due, poi tre, quattro e cinque ancora più veloci, fino ad arrivare in prossimità del pallone e calciare: la palla immobile, Antonio Campioni a terra. L’unico bersaglio colpito dal suo piede fu interamente lo zoccolo di cemento.

Noi giovani sbottammo a ridere, inconsapevoli della reale situazione, mentre i meno giovani… no, anche loro ridevano! Solo un personaggio era distaccato dall’ilarità contagiosa del momento: credo che non serva specificare il nominativo.

Camina sciapo, nun fa le scene!”, dicevano gli amici piegati in due dalle risate, senza però ricevere risposta alcuna se non dei suoni simili a mugolii, per niente incoraggianti. Poi il messaggio divenne chiaro:

“Uttio mia… Uttio mia me so’ fatto male per bono”.

Nessuna finzione perché Campioni, con gli accertamenti ospedalieri che di lì a poco avrebbero dato il responso esatto, scoprì di essersi rotto diverse falangi del piede con tanto di stecche e gesso al seguito per quaranta giorni.

L’uscita del trio fu come l’entrata, montata al contrario ma con le stesse modalità: loro di spalle che piano piano si allontanano, ad ogni passo sempre più mascherati dall’effetto in controluce, e ugualmente con il giornalista in mezzo… ma stavolta portato a spalla dai due per non fargli poggiare a terra l’arto dolorante. Inutile affermare quanto la scena mi abbia (ci abbia) colpito tanto da rimanere indelebile nella mia mente, malgrado la giovanissima età… ma non si concluse così.

Campioni avrebbe potuto tranquillamente non divulgare l’accaduto eppure, con umiltà e tanta simpatia, si dilettò nella stesura di alcune righe; lo fece attraverso la pagina di cronaca dell’Eco del Serrasanta, nella quale mise nero su bianco la vicenda. Esordendo con la locuzione, “ripresa” dal Vangelo secondo Luca, “Medice cura te ipsum” raccontava la dinamica dei fatti autodenunciandosi come infelice protagonista dell’accaduto.


L'episodio raccontato da Campioni - L'Eco del Serrasanta

Non solo! Qualche settimana più tardi, giusto il tempo di potersi liberare da tutori e simili, riprese l’attività con Gualdo Tv23. A conclusione del notiziario, dopo aver esaurito la scaletta ordinaria, narrò la vicenda anche al pubblico del piccolo schermo che, nella stragrande maggioranza, non comprese pienamente la questione e quel comunicato sui generis.

Il breve articolo (che potete vedere nella foto), inserito nella rubrica “Perle bianche e perle nere”, lo custodisco con gelosia insieme al ricordo del maestro che, senza dubbio, avrebbe voluto evitare l’infortunio. Chissà, caro Campioni, magari un giorno ci rivedremo e avremo modo di riprendere quei calci di rigore; una sfida potrei accettarla volentieri… sperando che Lassù non ci siano dischetti di cemento.


* Scritto per Il Nuovo Serrasanta - Numero di Ottobre 2019

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