Uno Sforza a Milano: il fiasco di Ciriaco! di Luca Fazi
- Luca Fazi
- 2 mar 2019
- Tempo di lettura: 5 min

Ci sono calciatori che impiegano poco tempo per entrare nei cuori dei tifosi e da lì restarci a vita, altri invece durano quanto uno starnuto e in brevissimo tempo tornano nel dimenticatoio; dei primi però non ne fanno parte solo quelli tecnicamente dotati e destinati a finire di diritto nella storia del calcio ma pure chi si è distinto talmente in negativo da risultare quasi un fenomeno da baraccone…se poi vieni citato in un film cult, allora è impossibile scordarsi. Ciriaco Sforza, nato in Svizzera ma da genitori italiani al cento per cento (della provincia di Avellino), coltiva il sogno di giocare a pallone sin da piccolissimo e in cuor suo pensa a quanto sarebbe bello un giorno potersi esibire in Serie A…un po’ per consacrare la sua carriera e un po’ per rendere orgogliosi sia il babbo che la mamma. Il ragazzo sa che niente viene dal niente e così si rimbocca le maniche (quelle della maglietta dell’Aarau) e con duro lavoro si ritrova a dire la sua fra i grandi malgrado la giovane età. Siamo onesti, non è che in Svizzera ci siano tutti questi fior fiori di giocatori tanto da creare una concorrenza spietata ed appena uno dimostra di saper esser “delicato” con il pallone fra i piedi non può che finire sotto osservazione: Ciriaco non è come gli altri.

Buona visione di gioco e passaggi filtranti, le qualità di base per chi come lui intende piazzarsi in campo come regista. E’ ben noto che il pesce grande mangi quello piccolo e quindi il Grasshoppers (il club più titolato del campionato elvetico) lo riporta alla base nel 1990 dopo averlo fatto esordire nemmeno maggiorenne; tre stagioni con i biancoblu impreziosite da performance individuali d’altissimo livello e la Super League vinta già al primo tentativo. L’oceano calcistico però è pieno zeppo di squali e al fascino della Bundesliga è difficile resistere così Sforza, senza pensarci due volte, approda nel ’93 al Kaiserslautern. Con i diavoli rossi trova l’ambiente ideale e riesce a sfogare come non mai quel vizietto del gol che da sempre faceva parte del pacchetto ma raramente espresso; 15 centri in due stagioni (considerando solo il campionato) e un altro pescecane pronto a volerlo. Il famelico mostro si chiama Bayern Monaco che nel ’95 allestisce una signora squadra capitanata dal mito vivente Matthaus: il club fallisce l’appuntamento con il titolo nazionale ma si consola con la Coppa Uefa ’96. Ciriaco è un titolare fisso e gioca sia andata che ritorno della finale ma nel frattempo parla dell’Italia con Lothar che gli sponsorizza l’ambiente Inter. I nerazzurri hanno un nuovo presidente, Massimo Moratti, che farebbe carte false pur di riportare la squadra ai fasti degli anni sessanta quando alla guida c’era il padre Angelo. I soldi non mancano, nemmeno le trattative frenetiche e il regista svizzero finisce nel taccuino della società: 6 miliardi e l’affare è fatto!

Quel cognome richiamerebbe a passati nobili, soprattutto nell’area milanese, ma se gli Sforza durarono quasi un secolo come signori del Ducato di Milano, Ciriaco non resistette neppure un anno. Peccato perché le premesse erano più che buone ed inizialmente indirizzate verso un giudizio positivo. La presentazione diventa alquanto bizzarra quando afferma che “mi sento più Matthaus che Baggio” ma in quel momento quasi nessuno percepisce che la bidonata si nasconda dietro l’angolo. Cappellino Pirelli, look anni ’90 e foto con la nuova maglia insieme al mai dimenticato Facchetti…che l’avventura nerazzurra abbia inizio! Il campionato parte tardi, a settembre, ma già alla prima giornata Ciriaco si fa sentire come meglio non poteva, ovvero con il gol. Allo stadio Friuli c’è un Udinese velenosa e pericolosa ma bastano dieci minuti allo svizzero per raccogliere un pallone proveniente dal calcio d’angolo e depositarlo di sinistro sotto l’incrocio dei pali. Doveva marcarlo Stroppa ma era da poco uscito dopo un entrata killer di Fresi capace di fratturargli il perone...solo giallo per il difensore. La dirigenza dell’Inter non può che guardarsi intorno ed auto compiacersi dell’acquisto appena fatto. La rete oltre ai tre punti vale la vittoria nerazzurra numero 1000 nella A a girone unico…Ciriaco è già un idolo per i presenti della Nord. Il mister Hodgson lo conosce bene quel ragazzo tenuto quasi a battesimo quando allenava la Svizzera e con il quale aveva condiviso il campionato del mondo statunitense; pazienza per quei diverbi avuti in passato, ora l’armonia sembra regnare incontrastata. Tempo tre giorni e altro sigillo di Sforza contro il Guingamp in Coppa Uefa: botta da fuori, sempre sotto l’incrocio ma stavolta con il destro. Poi? Poi più niente, buio totale…almeno che per voi due rete negli ottavi di coppa contro il Boavista siano qualcosa di strepitoso. In mezzo al campo Ciriaco è lento e sembra tutto meno che un calciatore. Vicino di reparto ha Paul Ince ma fra i due l’intesa è inesistente e finiscono solo per pestarsi i piedi; i sei miliardi cominciano a sembrare pura eresia. Come dite? E’ stato un fuoco di paglia? Beh, non dimenticate che il ragazzo viene da Wohlen, sede dell’antica industria regionale di fieno…la coerenza non manca di certo. Valigie pronte a fine campionato e nuova stagione che lo vede ancora una volta con la maglia del Kaiserslautern guidato da Otto Rehhagel. Il tecnico tedesco raccoglie il club clamorosamente retrocesso, ottiene immediatamente la promozione arrivando primo e instaura un ottimo rapporto con il suo nuovo acquisto. Sforza sembra rigenerato dal clima che gravita intorno allo spogliatoio e i gradi da capitano non fanno altro che aumentargli l’autostima: il club, appena tornato in Bundesliga, vince e alza al cielo il Meisterschale del 1998!

Neanche le favole, quello più sdolcinate del mondo, avrebbero potuto immaginare e scrivere una storia del genere vissuta fra l’inferno più rovente fino ad arrivare poi (lieto fine appunto) in paradiso. I ritorni di fiamma sembrano essere all’ordine del giorno per Ciriaco e allora ad inizio millennio non si lascia sfuggire l’occasione di tornare con il club tedesco per eccellenza, il Bayern. Due campionati con i bavaresi dove Sforza è ormai più che riserva che punto fisso ma almeno ha il modo di riempire il suo palmares personale conquistando praticamente tutto fra confini nazionali, europei e mondiali. La finale di Champions vinta nel 2001 non lo vede in campo ma il destino “perverso” gli da modo di trionfare proprio in quel San Siro che per qualche mese l’aveva prima sedotto e poi abbandonato.

Forse sarebbe restato più a lungo con il Bayern Monaco ma il pessimo rapporto con il vicepresidente Rummenigge era ormai troppo pesante; l’ex attaccante lo definì stinkstiefel (stivale puzzolente) per sottolineare quanto Ciriaco fosse polemico e malsano per l’ambiente. Il terzo e ultimo ritorno al Kaiserslautern profuma più di romantico che di concreto perché fra infortuni e pessime prestazioni ormai la carriera dello svizzero era già chiusa…ma un’accesa discussione con la dirigenza lo portò a chiudere i rapporti ben prima dei termini contrattuali. Tenta l’avventura da allenatore grazie anche all’ingaggio del Grasshoppers (altro vecchio amore ripreso) ma la pessima situazione finanziaria della squadra unita alla paura del fallimento lo portarono ad una rapida e feroce depressione dalla quale, tende a sottolinearlo con orgoglio, “ne sono uscito più forte di prima e senza aiuto di psicofarmaci”. Quanta strada fatta divisa fra trofei europei alzati, flop totali, campionati imprevedibili e un ventunesimo posto conquistato nella classifica per il Pallone d’Oro del 1994. L’augurio è che la sua ritrovata serenità lo porti ad alti livelli e magari a togliersi qualche soddisfazione proprio in Italia, l’unica terra dove non ha lasciato traccia…ma pellicole sì. Chiedete ad Aldo, Giovanni e Giacomo se avete dubbi…perché alla fine “quella di Ronaldo era finita”!














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