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Tre solo per te: il mito di Paolo Maldini

Aggiornamento: 26 giu 2019


Un giovane Maldini in Nazionale

- di Luca Fazi - “A volte penso che sia finita ma è proprio allora che comincia la salita” cantava Antonello Venditti in album uscito nel 2003 e destinato ad avere un enorme successo ma lo stesso concetto calzerebbe a pennello per Paolo, soprattutto in un determinato momento della sua carriera. Correva l’estate del 2002 e l’Italia del Trap era stata da poco eliminata ai Mondiali nippo-coreani grazie anche ad un arbitraggio alquanto discutibile. Maldini era il capitano di quella Nazionale ed il destino volle che il goal decisivo del nostrano Ahn nascesse da una sua disattenzione in marcatura, facendosi prendere il tempo. Le critiche non risparmiarono nessuno e tantomeno lui che per personalità, classe e ruolo in campo venne preso fortemente di mira. “Quello lì è finito” era la classica frase che veniva pronunciata dai frequentatori di bar e non solo; per molti il capitano rossonero non aveva più niente da dire in campo ed andava sostituito. Nessun problema per Paolo (anche se gli fecero un male cane quegli insulti gratuiti ed immeritati) che ha sempre dato tutto nel rettangolo verde e fuori senza voler mai elemosinare nulla a nessuno: proprio la partita con la Corea del Sud divenne per sua scelta l’ultima esibizione in azzurro, dando modo di pensare ai presunti intenditori di calcio che avrebbe smesso per sempre anche a livello di club…ma non avevamo capito che stava per prendere forma la seconda vita di un calciatore mai sazio di vincere. Il Maldini 2.0 inizia dove il babbo Cesare aveva concluso, ovvero in quella famosa Albione che per la famiglia divenne tutto meno che perfida. E’ il maggio del 2003 e Paolo, come sue padre quarant’anni prima, alza al cielo quella meravigliosa coppa che noi tutti amanti del calcio abbiamo sognato di sollevare da assoluti protagonisti.

La magica notte dell' Old Trafford

Ora per la stampa non esiste più il giocatore finito ma un assoluto numero uno, o meglio tre, ritrovato anche se non servivano degli esperti per mettere nero su bianco le sue infinite potenzialità. Alla fine di quell’anno arrivò nuovamente terzo nelle candidature per il Pallone d’Oro come in quel 1994 che lo vide trionfare su tutti i fronti con il Milan mancando solo l’appuntamento azzurro con il Mondiale statunitense perso in finale ai rigori. Proprio lui, nato nell’anno dell’unico successo europeo dell’Italia, non riuscì mai nell’impresa di trionfare con la Nazionale ma accarezzando solamente quel sogno proibito. Ironia della sorte la massima manifestazione calcistica venne vinta dai nostri colori proprio nella prima edizione in sua assenza ma una carriera del genere non può essere minimizzata per questo…e al diavolo quel Pallone d’Oro. Quando si parla dei migliori calciatori della storia in un determinato ruolo o reparto risulta sempre complessa la collocazione di questo piuttosto che quello ma con Maldini non ci sono dubbi da sciogliere: si ha davanti il più forte difensore di sempre. Paolo è stato ed è ancora oggi uno di quei pochissimi giocatori che sono conosciuti anche da chi non mastica quotidianamente il mondo del pallone. Provate a chiedere a vostra madre o all’amica che da sempre guarda al calcio con schifo malcelato se hanno mai sentito parlare del numero tre rossonero…con tutta probabilità la risposta sarà positiva e sapranno descrivervi il profilo anche da un punto di vista estetico. Effettivamente capitan Maldini ha sempre avuto un viso da attore hollywoodiano che emozionava, seppur per altri motivi, anche il pubblico femminile oltre a distinguersi per un fisico imponente e prestante. Non pensiate che la sua carriera sia stata sempre facile perché se porti quel cognome fai presto a passare per il raccomandato senza arte, messo lì solo grazie allo storico padre…è proprio a quel punto che serve tirare fuori il meglio di sé. Cesare non volle mai obbligarlo su niente, nemmeno per farlo giocare a pallone, ma dopo averlo notato con quella sfera fra i piedi capì ben presto che il figlio andava testato. “Scegli Milan o Inter” gli disse ma lui, attratto da Bettega e da quella Juve che componeva pure il blocco degli Azzurri, non sembrava troppo deciso però “se devo scegliere, Milan”!

Paolo e Cesare...non servono parole per descrivere la bellezza dell'immagine

Quel bambino di dieci anni stava per entrare nell’ambiente che lo avrebbe accolto per più di tre lunghe e meravigliose decadi. Il suo esordio è di quelli che non rimangono impressi per un gesto tecnico o addirittura una tiro andato a buon fine eppure il tutto avvenne nella domenica più improbabile. Il 20 gennaio del 1985 sulla panchina dei rossoneri c’è Liedholm e la presidenza appartiene al mai rimpianto Giussy Farina. Il Diavolo è in trasferta contro i bianconeri dell’Udinese ed il “Barone” decide di portarsi in panchina quel figlio di Cesare vista la defezione di Tassotti. Doveva essere solo un premio per poi rinviare il debutto a data da destinarsi ma l’infortunio di Battistini modificò i progetti iniziali e in quel match registrò la sua prima presenza. Passo dopo passo, partita dopo partita, smise di essere il “figlio di” ma Paolo Maldini, letto ed urlato tutto di un fiato con ammirazione e commozione. Vicini lo vuole per l’Europeo dell’88 e nel frattempo comincia a divorare trofei a livello di club come fossero noccioline; è da poco iniziata l’epopea berlusconiana e quei colori rossoneri sono pronti a risplendere di luce propria come non accadeva da fin troppo tempo. Corsa inarrestabile, interventi duri ma leali, fisico maestoso ma contemporaneamente l’eleganza che hanno ben pochi in dotazione e che difficilmente ottieni con il solo lavoro. Senso tattico e della posizione ben sviluppati oltre che ottimo nel gioco aereo e carismatico malgrado la giovane età…insomma, una macchina perfetta. Vederlo in campo è una delizia per i tifosi milanisti ma un vero incubo per gli attaccanti avversari che prima o poi dovranno vedersela con quel principe di tecnica e molto altro. Paolo vince 5 Coppe dei Campioni giocando ben otto finali delle medesima competizione e alla fine saranno di più i trofei vinti con il Milan che le stagioni trascorse con quella maglia. Che sia il Diavolo spumeggiante e maestro di Sacchi o quello degli invincibili targato Capello o ancora quello del suo ex compagno di squadra Ancelotti poco importa…Maldini è stato leader, vincente e autorevole in tutte queste realtà.


L'essenza dell'ultimo vero Milan: mister Ancelotti, il Presidente Berlusconi ed il Capitano

Anche nei pochi anni difficili è riuscito a distinguersi dalla massa per prestazioni ed eleganza, trionfando pure in una difesa a tre, a lui poco congeniale, nell’anno del pazzo scudetto del ‘99 con Zaccheroni come condottiero. Le critiche? Beh, i giornalisti hanno avuto pochi motivi per gettargli del fango (anche se ne hanno approfittato nei rari momenti di crisi) ma quello che ferisce di più sono state le polemiche giunte proprio dagli stessi tifosi del Milan che nel tempo hanno potuto ammirare un fuoriclasse unico. Maldini non hai mai appoggiato quella “antica” scuola di pensiero che conferisce ai ragazzi della curva pieni poteri o la possibilità di chiedere e fare di tutto; il numero tre è stato sempre il primo a metterci la faccia dopo le sconfitte ma il suo modo di parlare chiaro e pulito ha spesso infastidito chi l’avrebbe voluto diverso e più accondiscendente nei confronti degli ultras. Paolo ha dato sempre tutto in campo conoscendo e scindendo bene l’importanza della vita privata…e forse anche per questo non ha avuto il giusto saluto in campo. La sua ultima partita a San Siro, nella sua casa, avrebbe meritato un epilogo migliore aldilà del risultato sportivo vista la sconfitta interna con la Roma. In quello stadio (come quelli attaccati alla televisione) erano tutti commossi per l’ultimo giro di campo di un talento cresciuto in casa e forse più unico che raro ma una parte della “tifoseria” decise che andava rovinata la festa e allora ecco fischi, applausi ironici e striscioni inneggianti a Baresi come unica vera bandiera…che tristezza quelle immagini. Franco e Paolo, compagni per anni ma soprattutto amici, volutamente messi in contrapposizione come fossero identità ben diverse e non valori ed orgogli del popolo milanista. 

L'ultima a San Siro del Capitano

Nessuno è profeta in patria” dicevano i latini ed infatti il saluto più caloroso ed emozionante arriverà dalla tifoseria viola, rivale per anni ma ben consapevole della caratura del giocatore. Più di mille partite dopo i rimpianti sono pochi ma se gli domandate quale sia stato il suo più grande dolore calcistico non vi dirà di certo quella notte maledetta di Istanbul, piuttosto l’ultima partita in Nazionale…e quell’attaccante perugino che ancora si sogna la notte. Maldini ha dato sempre più importanza alla concretezza che ai colpi “teatrali” e così sarà anche per l’ultimo confronto con i gigliati; nessuna partita d’addio o amichevole ma battaglia vera fino in fondo con in palio la diretta qualificazione in Champions. Una settimana prima quegli scarpini calpestavano per l’ultima volta il manto erboso di San Siro e l’inconfondibile voce di Bono Vox veniva diffusa per l’intero stadio per mezzo delle note di Magnificent…non poteva esserci brano più azzeccato. Grazie mille Capitano!

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