-di Luca Fazi - Non giriamoci troppo intorno… la squadra del cuore ti accompagna per tutta la vita ed entra a circolarti nella vene già in tenera età, quando la tua esistenza si divide fra quelle ore sui banchi ed un pallone calciato insieme ad altri coetanei. Dei tuoi idoli indossi la loro maglietta e ti personifichi nel campione di turno mentre fai un cross in mezzo, batti un calcio di rigore o magari la butti dentro. Pazienza se quella divisa non è originale ma presa al mercato del paese, poco importa se sei ancora un bambino e ti mancano centimetri e classe per assomigliare al tuo beniamino e al diavolo se il gioco finisce perché tua madre da lontano ti avvisa che è pronta la cena e devi farti i 100 metri in modalità olimpica… hai il tuo pallone, i tuoi colori, la tua fantasia e sai già che quelle emozioni torneranno il giorno seguente. Se tifi Milan come il sottoscritto hai avuto sicuramente l’infanzia piena di soddisfazioni sportive, riempita dai titoli più importanti al mondo e non hai trovato difficoltà nell’eleggere almeno un tuo uomo simbolo che rappresentasse insieme bravura e qualità morali, una bandiera sulla quale far affidamento. La mia sventolava forte ed orgogliosa, cucita con un filo speciale pieno di classe naturale e personalità…si chiamava, si chiama e si chiamerà per sempre Paolo Maldini! Con i colori rossoneri era facile farsi coinvolgere da un campione piuttosto che un altro, visti gli innumerevoli talenti passati con questa maglia: il Kaiser insieme a Tassotti avevano da poco effettuato l’ultimo giro di campo ed ecco che la nuova generazione fatta dai vari Ambrosini, Gattuso e Shevchenko (e molti altri), insieme ai veterani sempre amati Costacurta e Albertini, era pronta a farsi spazio nei cuori dei tifosi come garanti di un certo ordine e stile.
L’imbarazzo della scelta non poteva mancare di certo ma quel numero 3, figlio d’arte eppure nel rettangolo verde inavvicinabile per paragoni da chiunque, mi impressionava maggiormente tanto da chiedere ai miei la sua maglia. Badate bene, la richiesta non nasceva solo per il vasto repertorio tecnico mostrato dal discendente di Cesare ma piuttosto per quella serietà che esternava in ogni occasione… quella serietà che ad ogni incontro ti conferiva un senso di sicurezza come quando da bambino ti addormentavi sereno e protetto tra le braccia di tuo padre. Gli anni sono passati e quel bambino è cresciuto vedendo la sala dei trofei subire continue modifiche d’ampliamento, per far spazio a coppe dalle grandi orecchie ed altri riconoscimenti nazionali e non; Paolo sempre presente e pronto a sollevare l’ennesimo successo a fine stagione. Nel frattempo gli sono piovute addosso critiche immeritate, anche da chi non ti aspetti, fino ad arrivare a quell’addio alla Nazionale voluto a gran voce da certe penne “illuminate” che insieme alle chiacchiere da bar davano per finito quel numero tre. Peccato (per questi) che Paolo dai 34 ai 41 anni abbia macinato ancora chilometri su chilometri di manto erboso vincendo da protagonista altre due Champions e sfiorando nuovamente un Pallone d’Oro che avrebbe meritato senza dubbio. Poi quel 31 maggio 2009… e niente è stato più come prima.
Le lacrime in quel pomeriggio a Firenze si erano aggiunte a quelle versate una settimana prima per l’ultima a San Siro, rese ancora più amare dalle contestazioni di quegli pseudo tifosi. Dieci anni, dieci lunghissimi anni dopo ed ancora nessuna possibilità di poter riabbracciare una bandiera autentica nell’organico rossonero, che sappia distinguersi dal gruppo come guida morale oltre che sportiva. Nel primo post-Maldini ci sono stati Campioni (la maiuscola è obbligatoria) che hanno onorato quella fascia al braccio pur non vincendo nulla ma carichi già dell’incetta di trofei fatta in passato… poi il vuoto. Il titolo di leader ad un Montolivo arrivato da poco e senza i gradi giusti fu forse il primo passo del declino. Il centrocampista lombardo mostrò sicuramente legame e passione per questi colori ma restando poi insufficiente sotto tutti gli altri punti di vista. Nell’estate del 2017 si toccò veramente il fondo assegnando il ruolo da capitano a quel signor Bonucci che per anni aveva sempre ostentato la sua fede bianconera e vestito spesso i panni del provocatore… poco quelli del giocatore leale. Come se non bastasse il caso Donnarumma: bravo tecnicamente, giovanissimo e con la fede rossonera sin da bambino, poteva diventare ciò che invece non sarà mai completamente a causa di una vicenda tirata troppo alla lunga e in modo irrispettoso.
Forse è facile fare “solo” i tifosi quando la moneta che gira nei contratti non ti appartiene, forse è semplice giudicare e pretendere che venga anteposto l’ideale al denaro… ma sicuramente Gigio ha tradito quella fede sacra che noi tutti abbiamo per il Diavolo. Siamo nel 2019 e ci ritroviamo ancora senza una guida forte in campo e con l’angoscia, se venissero prestazioni collettive deludenti, di perdere anche il nuovo e fresco capitano Romagnoli. Allora ecco che torna il sentimento di quel bambino che con il pallone sempre accanto nelle giornate estive disputava le proprie partitelle, simulando il gesto tecnico del suo fuoriclasse preferito… e sembra tutto così distante. Ora le magliette richieste ai genitori cambiano colore nel giro di un paio di stagioni al massimo e trovare quella tanto sognata bandiera diventa sempre più difficile. Quel bambino è cresciuto e ringrazia per l’infanzia ricevuta ma l’uomo di oggi non può che riempirsi di malinconia osservando i nuovi protagonisti del campetto vicino casa, alti neanche metà porta, orfani di certi uomini prima che calciatori. Per il Milan (e per il calcio tutto)…AAA cercasi Bandiera!
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