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Michael Owen: il golden boy perduto. di Luca Fazi

  • Immagine del redattore: Luca Fazi
    Luca Fazi
  • 14 dic 2018
  • Tempo di lettura: 8 min

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“A volte basta un attimo per scordare una vita ma a volte non basta una vita per scordare un attimo” (Jim Morrison)

Quando il poeta maledetto e leader della band made in Usa The Doors pronunciò questo aforisma il piccolo Michael James non era nemmeno nato eppure quelle parole immortali potrebbero tranquillamente essere usate per descriverlo in una parte ben precisa della sua “futura” carriera; l’attimo è quel pallone depositato in rete il 30 giugno del 1998 durante gli ottavi dei mondiali transalpini ai danni della difesa argentina: ora tutto il mondo conosce Owen! In quella calda serata a Saint-Etienne va di scena l’ennesima sfida fra l’Inghilterra ed i sudamericani con i primi convinti finalmente di riscattarsi dopo diverse occasioni buttate al vento e soprattutto da quella “mano de Dios” che dodici anni prima li aveva ferocemente feriti…ma alla fine la famosa vendetta da servire fredda arrivò talmente alla congelazione tanto da non poter essere più presentabile. Dopo i due rigori per parte come apripista e prima del pareggio di Zanetti, un capolavoro del piccolo Owen che controlla sontuosamente la sfera facendosi beffa di Ayala e Chamot per poi trafiggere l’incolpevole Roa.


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Michael un attimo prima di segnare il goal-capolavoro all'Argentina.

L’ago della bilancia poteva risultare benevolo nei confronti dei “Tre Leoni” ma l’espulsione dell’altro gioiello di Sua Maestà, David Beckham, e la funesta lotteria dei rigori bloccò l’Inghilterra per la gioia di Batistuta e compagni. Michael era nato quasi diciannove anni prima (1979) a Chester, città che trova la sua collocazione sulla riva destra del fiume Dee dove il Galles è praticamente alle porte. I suoi si erano trasferiti appena fuori dai confini inglesi ma l’ospedale gallese non aveva il reparto maternità e così il cucciolo di casa nacque sotto la croce di San Giorgio. Il padre Terry, ex attaccante, è da sempre fanatico dello sport tanto da spronare tutti i suoi figli a praticarne uno…e per Michael viene riservato il pugilato già dai sette anni. Il fatto è che quel bambino si trova incapace sia nello sferrare pugni che nell’incassare mentre, come fosse un gene trasmesso da parte paterna, sembra naturalmente predisposto per dribblare gli avversari con il pallone fra i piedi e far gol. Così viene iscritto nel campionato settentrionale gallese dove in una sola stagione (siamo nel 1988) riesce a mettere a segno ben 92 reti che gli permettono di battere qualsiasi precedente record, compreso pure quello di un “certo” Ian Rush! Owen nel dicembre ’91 ha dodici anni e, come da regolamento, può essere tesserato per la prima volta da una società sportiva la quale dovrà impegnarsi pure per la sua educazione scolastica. L’Everton, squadra del cuore del piccolo Michael e dove ha giocato il suo mito Gary Lineker, lo testa per qualche giorno per poi bocciarlo definitivamente e saranno allora i Reds ad avere la meglio su una già vasta concorrenza. Anche nelle giovanili del Liverpool distrugge tutti i record finendo per fare più gol che presenze ed accorciando notevolmente la strada per la prima squadra. Il suo momento arriverà il 6 maggio del ’97, in occasione della sfida contro il Wimbledon. Quella partita decretò la sconfitta per 2 a 1 dei Reds e l’addio al titolo (conquistato poi dallo United) eppure la serata passerà alla storia per il battesimo del nuovo talento che, subentrato a Berger, trova pure il goal della bandiera…la debacle sportiva passa praticamente in secondo piano.


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Owen sta per entrare al posto di Berger: l'esordio con il Liverpool.

In meno di un anno conquista la prima presenza in nazionale dove, malgrado la sconfitta nell’amichevole interna con il Cile per mano della doppietta di uno scatenato Salas, riesce a ricucirsi il suo spazio e pur non gonfiando la rete viene fortemente apprezzato dal c.t. azzurro Cesare Maldini (osservatore speciale e suo estimatore) che lo etichetta come possibile rivelazione degli imminenti mondiali…previsione altamente azzeccata! Convocato da Hoddle anche grazie all’infortunio del compagno Robbie Fowler ed inizialmente scansato dal veterano Sheringham, a partire dalla seconda gara contro la Romania (dove segna) viene impiegato titolare a furor di popolo fino al drammatico stop descritto qualche riga sopra negli ottavi. Owen diventa ormai il “golden boy”, quel ragazzo d’oro dalla faccia pulita, diligente nello studio, serio negli allenamenti e con una mai sazia fame di gol. E’ rapido nei movimenti, gode di un’ottima visione di gioco e nelle conclusioni fulmina tutti per i movimenti e la precisione impiegata…una macchina quasi perfetta. Non è alto (appena 172 centimetri) eppure riesce a dire la sua pure di testa leggendo molto prima l’azione e scegliendo i tempi giusti. La sua notorietà fra la fine degli anni novanta ed inizio duemila è alle stelle tanto che potrebbe giocarsela con “gli altri quattro” di Liverpool senza sfigurare ma il golden boy è timido e fortemente riservato così al gossip preferisce i manti erbosi perfettamente custoditi della Premier. Nel ’98 e nel ’99 si laurea capocannoniere sempre con 18 sigilli stagionali ma per lui l’anno di grazia vero e proprio sarà il campionato 2000-2001, al termine del quale alza al cielo la bellezza di 5 trofei fra coppa Uefa, FA Cup, coppa di lega inglese, Community Shield e supercoppa uefa.


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La FA Cup del 2001: la partita di Owen.

Nella più antica competizione ufficiale al mondo riesce a trasformare la finale contro l’Arsenal nella “partita di Owen” rispondendo al goal di Ljungberg con una doppietta siglata negli ultimi otto minuti. Non partecipa alla goleada europea nella finalissima contro il Deportivo Alaves ma si riscatta nella supercoppa vinta ad agosto contro il Bayern Monaco. Non crediate però che l’anno stratosferico possa finire “solo” in questo mondo ed eccoci arrivare a quel primo settembre, giorno di qualificazioni mondiali…giorno di Germania-Inghilterra. In quel confronto viene registrato un goal spettacolare di Steven Gerrard ma tutto passò sottotraccia rispetto alla tripletta del talento di Chester: i tedeschi vengono schiantati per 1 a 5! Il Pallone d’Oro appare utopia in mancanza di Champions o di qualche traguardo raggiunto con la nazionale eppure i vari Figo, Totti, Beckham, Raul e Kahn vengono sbaragliati dal quel piccolo ma grande calciatore che sembra predestinato da lì in poi a vincere tutto...ha appena 22 anni. Passa altre tre stagioni coccolato dal calore di Anfield e poi si trasferisce nei Galacticos del Real Madrid: il passo che doveva segnare la sua ascesa lo porterà invece al declino.


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La presentazione di Owen al Bernabeu.

Gli spagnoli sborsano 25 milioni di lire per averlo e come prima stagione non va poi così male (16 goal in tutte le competizioni) ma nel club più prestigioso al mondo è uno dei tanti, non più il pupillo di casa, e finisce per andarsene a fine campionato. Torna in Inghilterra ma non nel suo Liverpool, “reo” di non aver raggiunto per pochi milioni la stessa cifra offerta dal Newcastle che lo presenta come un divo davanti a 20mila persone e affiancandogli in campo come socio di reparto il sempreverde Alan Shearer, pronto al pensionamento e all’imminente passaggio di consegne. Il duo dei Magpies si sposa alla perfezione ma l’infortunio al metatarso nell’ultimo turno di dicembre gli compromette seriamente il resto della stagione; quattro giorni prima, per il Boxing Day, il Newcastle aveva giocato a Liverpool e l’accoglienza per Michael era stata tutt’altro che amichevole…le ferite erano freschissime per i ragazzi della Kop.


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Il vecchio e il bambino: Shearer e Owen. Una coppia da sogno per il Newcastle.

Owen rientra in tempo per i mondiali in Germania che, dopo il flop in quelli nippo-coreani e gli insuccessi europei, avrebbero potuto dargli la gloria eterna riportando i Tre Leoni al successo dopo quarant’anni ma l’infortunio nella gara del girone con la Svezia è di quelli tremendi: lesione del legamento crociato e nove mesi di stop. Addio sogni di gloria, addio nuovi buoni propositi perché Michael soffre di discopatia lombare ed i suoi muscoli per “natura” tengono a stare in una tensione anomala che gli facilita gli infortuni durante gli scatti. Nei campionati successivi non è più lo stesso e, dopo ernie, stiramenti e parotite tanto per non farsi mancare nulla, saluta il Newcastle nel 2009 appena retrocesso clamorosamente. Sembra tutto così assurdo: quel ragazzino dalle buone maniere impressionò il mondo non ancora maggiorenne per poi andare a vincere un Pallone d’Oro appena ventiduenne ed ora diventa tutto in una volta vecchio e fuori dai vertici. Owen si avvicina ai trenta ma da ormai cinque anni non è più lo stesso, passando da golden boy a “normal people” senza nemmeno rendersene conto. Per quelli nati fra gli anni ottanta e primissimi novanta Michael ha rappresentato un fenomeno pop di altissimo livello che non amava certamente finire sulle copertine ma i suoi numeri in campo parlavamo al posto suo…adesso quella stessa generazione si ritrova ad osservare un corpo senza anima che dei fasti di un tempo porta solo il nome scritto sulla schiena e poco più. Rapido a salire, ancora più celere a scendere gravosamente in una realtà troppo ruvida per chi come lui ha respirato i piani alti. L’Inghilterra ha riposto in lui per quasi un decennio il senso di rivincita mai domo per le solite sconfitte; poi un altro baby prodigio, Wayne Rooney, lo farà sentire improvvisamente anziano anche quando la carta d’identità attestava il contrario e nonostante i 40 goal del ragazzo di Chester (quinto miglior marcatore di sempre per i Tre Leoni) la sua carriera in nazionale finì quasi nell’anonimato. Siamo nel 2009 dicevamo e per Owen si apre ancora l’ultima, ennesima, grande occasione della vita: il Manchester United. L’arrivo ai Red Devils non è proprio dei più ortodossi perché Micheal ormai è più uomo-immagine che talento puro e ben conscio della situazione decide, dopo la rescissione dal Newcastle, di farsi promuovere da una compagnia di management (Wasserman Media Group) come fosse un precariato di lusso. L’azienda spedisce alle varie società inglesi un dossier di ben 34 pagine dove venivamo elencati i diversi punti di forza del giocatore e laddove non fossero bastate le parole scritte sarebbe arrivato in aiuto pure un dvd con le sue prodezze migliori…originalità britannica! La chiamata di Sir Alex Ferguson è quella più incisiva e, malgrado i tifosi non siano contenti del nuovo acquisto, Owen firma per i diavoli rossi prendendo la pesante maglia numero sette, quella indossata dai più grandi e lasciata vacante per ultimo da Cristiano Ronaldo approdato al Real. Micheal resterà a Manchester per tre stagioni, tormentato dai soliti problemi fisici ma riuscendo almeno a conquistare per la prima ed ultima volta il titolo inglese nel 2011.


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Owen con la maglia dei Red Devils.

L’atto conclusivo si materializza allo Stoke City ma il centravanti non assomiglia più ad un calciatore professionista e non gli rimarrà altro che annunciare il suo prossimo ritiro già a stagione in corso…la favola non ha il suo lieto fine. In occasione di quel sorprendente Pallone d’Oro 2001 fu elogiato persino da Pelé in persona che dichiarò di non aver visto mai niente di meglio alla sua età, superiore pure a Ronaldo (il Fenomeno)…ora restano solo piacevoli ma malinconici ricordi. Peccato non averlo visto in Italia quando la Serie A era il top e lui viaggiava a velocità impressionanti; la Lazio di Cragnotti ci provò nel 2001 (l’Inter tre anni prima) spronata da quella dichiarazione “in coppia con Crespo sarebbe fantastico” uscite dalla bocca di Michael ma il Liverpool lo considerava, giustamente, come un figlio e su di lui contava per fare le proprie fortune…come si auspicava l’Inghilterra. Le sue verità rilasciate anni dopo il ritiro non furono altro che amare conferme: “Avevo paura di giocare e di farmi male…mi nascondevo nelle parti del campo dove non dovevo neanche andare pur di non essere servito…ho odiato il calcio!”. Ora Owen cerca di godersi la vita e vivendo questo sport da prospettive meno ravvicinate e “pressanti”. Qualche tifoso vedendolo giocare negli ultimi anni gli avrà sicuramente gridato “datti all’ippica” e lui, senza offendersi troppo, l’ha preso in parola esercitandosi e poi gareggiando per breve tempo come fantino nelle corse dei cavalli. Una vita che l’ha portato in alto e poi giù come il più freddo degli ascensori, non facendogli mancare proprio nulla, beffe esagerate comprese…come quella incredibile Champions vinta dal suo Liverpool proprio l’anno seguente al suo addio. In ogni caso thanks for everything, dear golden boy!


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Owen con l'insolita veste da fantino.

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