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L'ultimo Cagliari europeo



- di Luca Fazi - I quattro mori tatuati sulla maglia come nelle bandiere, simbolo di un’identità che in Sardegna si fa sempre sentire forte, oltre ad uno sponsor, Pecorino Sardo, destinato a rimanere tra i più nostalgici di sempre: ecco l’armatura del Cagliari anni ’90, ecco la divisa del magico Casteddu. L’ultimo decennio del secolo scorso (la prima parte) è stato uno dei più significativi e gloriosi per la squadra rossoblù, secondo solamente al periodo storico dello scudetto del ’70… traguardo non ancora bissato. Nel settembre del 1972 l’ultima gara europea (sconfitta casalinga con l’Olympiakos) prima di saliscendi tra la massima serie e la cadetteria. Mai lamentarsi troppo perché nel 1987 arriva la retrocessione in C1 e dopo una stagione mediocre si riparte finalmente a fare sul serio: in panchina si siede Claudio Ranieri.

Il tecnico romano è giovanissimo e non è ancora quello del miracolo inglese, però nell’isola inizia a proporre il proprio repertorio; vince il campionato e poi doppio salto in A grazie al terzo posto nel campionato di Serie B ’89-’90. La squadra si presenta quindi nella massima serie compatta intorno alla guida tecnica e con tre uruguaiani di tutto rispetto: Herrera, Fonseca e El Principe Francescoli. Al Sant’Elia si suda la permanenza nei piani alti ma il calcio proposto dai sardi è divertente e soprattutto produttivo. Nel ’91 via Ranieri (acquistato da un Napoli ormai verso il declino) e dentro l’esperto Giacomini; il friulano vince la prima e perde le successive cinque gare… è già tempo di cambiare. Come allenatore viene chiamato Carletto Mazzone che in dote porta subito un pari con l’Inter, la vittoria in trasferta a Bergamo e una salvezza finale che per come si erano messe le cose non era scontata. Il miracolo però avviene durante il campionato successivo: la presidenza passa a Cellino.


Due protagonisti assoluti del Cagliari anni 90: Ranieri e Mazzone

Ceduto l’uruguaiano Fonseca, eccone un altro al suo posto, l’anonimo Tejera, ma soprattutto in Sardegna sbarca per sei miliardi Lulù Oliveira. Mazzone è un uomo all’antica e il look a dir poco bizzarro del brasiliano, naturalizzato belga, lo fa imbestialire… però poi l’attaccante si mette a danzare in campo e le polemiche si placano. La squadra dopo quattro turni è ancora senza vittorie ma dalla quinta gara in poi sarà una scalata verso il sesto posto che si traduce in qualificazione alla prossima Coppa Uefa. Sor Magara passa alla Roma e in panchina viene chiamato un monumento come Gigi Radice per guidare la cavalcata europea del sorprendente Cagliari. Solo che Cellino, ancora giovane, deve costruirsi la fama da mangia allenatori, così dopo appena un match (perso 5 a 2 con l’Atalanta a Bergamo), esonera il tecnico e al suo posto chiama Bruno Giorgi.


Mister Giorgi

Il campionato è meno entusiasmante della precedente stagione ma il ritorno europeo, dopo vent’anni, è di quelli incredibili e difficilmente pronosticabili in partenza. Inoltre a supportare Lulù arriva come compagno di reparto il panamense Dely Valdes, attaccante che impiegherà pochissimo per farsi amare dal pubblico del Sant’Elia. I due mettono a referto 25 centri in Serie A e in Coppa Uefa fanno spesso la differenza. Primo avversario è la Dinamo Bucarest, squadra che crea più di qualche problema alla compagine rossoblù ma alla fine sarà l’undici italiano ad avere la meglio. Ai sedicesimi ci sono i turchi del Trabzonspor e sia l’andata che il ritorno terminano con due pareggi (1 a 1 a Trebisonda e reti bianche in Italia); alla fine l’unico gol sardo di Dely Valdes risulterà quindi decisivo per il prosieguo del cammino.



Agli ottavi si pesca una “nobile” decaduta, ovvero il Mechelen, ma la fine degli anni ottanta portò via con sé pure quella magia europea che aveva trascinato la squadra belga: il Cagliari archivia senza problemi la pratica e vola ai quarti contro la Juve del Trap. I bianconeri non sono solo il club da sempre egemone in Italia ma pure i campioni in carica della competizione… insomma, il risultato sembra già scritto. Eppure intorno all’ambiente di mister Giorgi girano sensazioni positive e, nell’andata disputata a Cagliari, la squadra oltre a non subire gol strappa pure una vittoria ottenuta dal fraseggio tra Herrera e Dely Valdes, con rete di quest’ultimo. Il gol di vantaggio viene subito pareggiato al ritorno da Dino Baggio, tuttavia la Juve resta in dieci (espulso Kohler) e Firicano sigla il gol dell’uno a uno. L’altro Baggio, Roberto, potrebbe riaprire su rigore ma fallisce dagli undici metri (pochi mesi più tardi sarà ben più pesante l’errore dal dischetto) e così Oliveria chiude i conti, espugnando il Delle Alpi e portando il Cagliari in semifinale. Le idi di marzo del 1994 furono letali per “l’imperatrice” Juventus.



Nel penultimo atto altro derby italiano perché davanti ai sardi si presenta l’Inter, squadra a rischio retrocessione in A ma bella e cinica in Europa. L’andata al San’Elia è 2 a 1 per gli ospiti quando Giorgi fa entrare Criniti e Pancaro, entrambi marcatori poi nei minuti finali: finisce 3 a 2. L’umore è alto perché, pur avendo subito due reti in casa, il Cagliari ha dimostrato carattere e, in ottica ritorno, credere nell’impresa non è follia… ma al Meazza suona solo la musica dell’orchestra nerazzurra. Bergkamp, Berti e Jonk sono i boia di una sentenza fin troppo dura: il Cagliari perde malamente e abbandona a testa altissima la competizione.



Un sogno, di base un’utopia, che un passo alla volta si è dimostrata possibilità tutt’altro che remota: ecco cosa è stato quel Cagliari 1993-1994, fabbricato in pochi anni ma di ottima fattura. Un palazzo che ha osato sfidare le costruzioni più maestose: poi la vetta si è sgretolata fino a crollare completamente in quello spareggio con il Piacenza del 1997, che ha salvato gli emiliani e condannato i sardi. E ancora risalite, cadute, discreti campionati, insuccessi e ritorni prepotenti. Solo una cosa è rimasta immutata: i tifosi del Casteddu non hanno mai mollato.

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