L'ultima Bandiera: Francesco Totti
- Luca Fazi
- 27 set 2018
- Tempo di lettura: 10 min
Aggiornamento: 27 set 2021

28 maggio 2017, all’ Olimpico di Roma c’è un intero stadio colorato come non mai di giallorosso ma il risultato della partita in programma quel giorno, seppur importante ai fini della classifica, non può che passare in secondo piano…c’è l’addio al calcio di Francesco Totti! L’aria profuma già dell’imminente estate ma lo stato d’animo dei tifosi romanisti è piuttosto grigio, con il cuore tormentato e coperto da diversi strati di tristezza come fossimo in quei periodi invernali dove la malinconia regna sovrana. La Lupa ospita i Grifoni rossoblù e a dieci minuti dalla fine il punteggio è fisso su un 2 a 2 che condannerebbe i padroni di casa a giocare il prossimo anno la Champions partendo dai preliminari. Francesco, come ormai consuetudine negli ultimi periodi, entra nella ripresa; sta volta avrebbe quasi tutto il secondo tempo a disposizione per decidere la partita ma sarà un altro subentrato, Perotti su rigore, a firmare la vittoria e glorificare il giorno dell’addio. Arriva il triplice fischio e dopo baci e abbracci è il momento dell’ultimo giro di campo del numero dieci, su quel manto erboso che ai suoi occhi valeva molto di più che una semplice seconda casa…piuttosto l’anticipazione del Paradiso dove l’Olimpico deve per forza rappresentargli l’entrata ufficiale. Ecco allora che diventa impossibile non ripercorrere mentalmente tutti gli episodi della sua carriera, piacevoli e tristi che siano, dove ogni passo corrisponde perfettamente ad un preciso momento legato al suo mondo e a quella maglia giallorossa in particolare. E’ il 27 settembre del ’76 quando viene alla luce quel bel bambino ( o Pupone se preferite) che tanta gioia regala ai cuore di babbo Enzo e mamma Fiorella ma nessuno ancora ha la minima idea di ciò che diventerà. Da piccolissimo è inutile dire che fra i giocattoli preferiti finisce sempre per scegliere quel pallone ricevuto per regalo, sulla carta normalissimo ma l’eccezione di quello stemma raffigurato lo trasforma improvvisamente nella cosa più preziosa che possiede: il simbolo della Roma appunto. Totti è un bambino timido che non socializza molto con gli altri coetanei eppure con il “giocattolo” fra i piedi non ha barriere ed il linguaggio fra i due è strettamente legato al “tu”, fortemente confidenziale e reciproco. Certo volte gli capita di tornare a casa con il broncio perché quelli più grandi non lo fanno giocare e il padre subito pronto a “tranquillizzarlo” dicendogli “che piangi? Pensa a studia’, mica voi fa’ er calciatore?”. La famiglia è solita trascorrere le vacanze estive a Torvaianica e per Francesco si manifesta subito la possibilità di fare un provino con dei ragazzi poco più grandi di lui: ha 5 anni e dopo pochi minuti mette subito a referto una doppietta. Ora diventa complicato far finta di nulla e quindi inizia la trafila d’aspirante calciatore fra Fortitudo prima e Smit Trastevere poi.

La classe ormai dilagava nelle sue giocate ed era palese la differenza fra lui ed “il resto” ma tendeva anche ad esaltarsi troppo di questo, motivo per cui i vari allenatori come Mastropiero e Neroni non gli diedero mai la possibilità di indossare la tanto desiderata maglia numero 10. Poco importa perché alle cifre sulle spalle preferiva mostrare sul rettangolo verde il suo “passaporto” tecnico e quando iniziava con la pratica era una goduria assistere alle sue lezioni. A 12 anni è alla Lodigiani e non è più tempo di trattarlo come un bambino, specialmente quando nella casa di Porta Metronia si presenta un collaboratore del Milan con una valigetta riempita di 300 milioni di lire ed un contratto da firmare; mamma Fiorella, come non mai possessiva del figlio, non sa come rispondere e prende tempo contattando un amico di famiglia che fa il dirigente in Federcalcio. La risposta non tarda ad arrivare ed è alquanto eloquente per descrivere il calibro del futuro campione: “quelli che ti offrono sono spiccioli per il valore di Francesco”. Passato il “pericolo” rossonero arriva quello che non ti aspetti, la Lazio, che sembra faccia sul serio per strappare alla Roma quel giocatore dal futuro assicurato. Francesco ha il giallorosso tatuato nell’anima e l’idea di vestire i colori dell’aquila Olimpia non gli passerebbe nemmeno per l’anticamera del cervello ma sta volta c’è una forte possibilità che l’affare si concretizzi. Sembra tutto fatto quando scende nel tavolo delle trattative nientemeno che il presidente Dino Viola in persona, con 300 milioni per la Lodigiani più la cessione di Gianni Cavezzi e Stefano Placidi.

Francesco è ufficialmente della Roma e da lì non si muoverà mai per 25 lunghissime stagioni in prima squadra come il suo compagno di Nazionale ed amico Paolo Maldini con il Milan. L’esordio arriva il 28 (lo stesso numero che lo accompagnerà nel ritiro) marzo del 1993, nei minuti finali di un Brescia-Roma con gli ospiti in vantaggio di due goal ed il maestro Boskov in panchina. Ormai si parla in largo e lungo di quel talento promettente ma nel momento di sostituire Rizzitelli ancora sono in pochissimi ad aver chiaro in testa il suo reale potenziale. Uno della ristretta cerchia è sicuramente mister Magara, al secolo Carlo Mazzone, che lo avrà per tre stagioni trattandolo come un figlio al punto di sconsigliargli di uscire con il motorino (troppo pericoloso) come avrebbe fatto il più amorevole dei padri. Il primo goal in A porta la data del primo settembre 1994 nella partita con il Foggia quando un pallone in mezzo lanciato dal biondo Thern e un colpo di testa all’indietro di Fonseca diventano lo scenario perfetto per brindare alla rete…e per festeggiarlo ancora in serata gli viene concesso un gelato ai gusti nocciola e cioccolato ed in arrivo dallo zio una bella mountain bike nuova. In questi anni Totti accumula sempre di più i gradi del titolare fino a diventare gara dopo gara un punto di riferimento.

Peccato che nel ’96 parte Mazzone ed arriva Bianchi, il mister argentino che aveva vinto tutto con il Vélez ed affascinato il presidente Sensi. Lo stregone però si dimostrò completamente inadatto a guidare l’undici giallorosso svestendo i panni del fenomeno per quelli del “sòla” che parlando dell’ambiente romanesco calza a pennello. Gli bastano pochi mesi per deludere le aspettative e prendere di mira proprio quel Francesco che ormai assumeva sempre più importanza all’interno del club e nel cuore dei tifosi; erano gli anni che Totti tendeva ad ingrassare, come evidenziavano le malelingue, e l’atteggiamento fuori dal campo non convinceva il mister di Buenos Aires. L’allenatore stava per convincere Sensi a cederlo con la Sampdoria su tutte pronta ad accoglierlo ma alla fine prevalse il buonsenso e a partire dalla capitale fu il mister. L’arrivo di Zeman fu abbastanza drastico per la squadra e per Francesco in primis che risentì dei carichi di lavoro portati allo sfinimento…invece furono anche quelli a renderlo un top player sotto tutti gli aspetti. Con l’evoluzione del calcio c’era sempre meno spazio per quelli poco fisici e sotto la guida rigida del boemo Totti aumentò notevolmente la propria muscolatura in breve tempo, passando a giocare un campionato con il ruolo insolito di ala sinistra. Se Zeman ha costruito buona parte del prodotto finale a Capello, il sergente di ferro che arriva sulla panchina romanista nel 1999, rimane solo che godere dei benefici. L’amore fuori dal campo non sboccerà mai fra i due, con l’allenatore che non gli riconosce il ruolo di guida e nei discorsi preferisce elogiare ad esempio profili come Emerson, sicuramente più tranquilli anche se meno leader, però resta il fatto che durante le partite i suoi schemi si sposano alla perfezione con le giocate del numero 10…il tridente Batistuta-Totti-Montella fa paura a tutti! Stagione ’00-’01, Roma campione d’inverno e solo i troppi pareggi nel girone di ritorno fanno vacillare leggermente le convinzioni scudetto. Il tricolore potrebbe arrivare al San Paolo nella penultima gara ma la rete di Pecchia rimanda i festeggiamenti di una settimana per giocarsi tutto nel covo romanista. Il 17 giugno del 2001 c’è Roma-Parma ed il 3 a 1 finale non poteva che portare le firme dei tre tenori lì davanti: giallorossi campioni d’Italia.

Nel frattempo si faceva spazio anche in Nazionale con la quale per poco non giocò il Mondiale francese del ’98 ma subito convocato per le qualificazioni di Euro 2000. Di quel campionato europeo sono molte le immagini da ricordare, positive o negative, eppure quel rigore di Olanda-Italia non ha rivali per storicità e pathos emotivo. Gli Azzurri in dieci praticamente da sempre si ritrovano a giocarsi l’accesso alla finale dagli undici metri con i padroni di casa che nel corso della gara avevano già fallito due penalty: San Toldo quel giorno è insuperabile ma per la dose di pazzia ci pensa Er Pupone che con quel “mo je faccio er cucchiaio” confessato all’amico Di Biagio un attimo prima, esorcizza ed umilia l’ostacolo orange. Quel pallone ci ha tenuti in apnea per degli istanti infiniti seguendo una traiettoria carica di follia specialmente se davanti hai un colosso come Van der Sar. Francesco intanto comincia a trovare la definitiva collocazione tattica anche grazie al tecnico Spalletti, capace di spostarlo dalla trequarti al ruolo di centravanti. Purtroppo per il capitano non arriveranno altri scudetti né tantomeno Champions ma a livello individuale sono gli anni del cambiamento e delle piccole grandi conquiste. La stagione ’05-’06 è positiva per la Roma (capace di vincere 11 gare di fila in A) ma per Francesco diventa un campionato complicato quando il 19 febbraio si frattura il perone con interessamento dei legamenti della caviglia dopo un tackle subito dal difensore empolese Vanigli. Sono mesi travagliati per il dieci giallorosso che rischia seriamente di saltare il Mondiale in Germania viste le sue gravi condizioni ma un vero campione esce fuori anche in questi momenti e fra una dieta rigidissima (colazione solo yogurt e pizza solo una volta al mese ma senza mozzarella) e tanta riabilitazione riesce ad entrare nei nomi di Lippi; non contento diventa uno dei protagonisti del trionfo azzurro grazie anche a quel rigore segnato allo scadere contro l’Australia, quando una partita scontata si stava per trasformare in un grave passo falso.

Totti è sempre più bomber e quella Scarpa d’Oro 2007 contesa fino all’ultimo con Van Nistelrooy non è un caso ma il frutto di tanto lavoro fuori e dentro il campo. Allora è tempo di fare la storia e da un anno all’altro Francesco diventa il recordman giallorosso per presenze in campionato, poi il miglior marcatore di sempre in A e nelle coppe con la Roma ed infine il più anziano ad aver segnato nella manifestazione Champions. Non vi basta? Aggiungiamoci pure che è il miglior goleador nei derby contro i biancocelesti, forse la statistica alla quale teneva maggiormente anche perché “gioco nella Roma e so’ de Roma, che vojo de più?”. I suoi goal alla stessa maniera delle giocate non sono mai banali come quando nell’ottobre del 2006 fece alzare tutto il popolo nerazzurro di San Siro che gli rendeva il giusto tributo grazie ad un pallonetto inflitto a Julio Cesar dopo esser partito da centrocampo in azione personale. Modalità molto simile vista anni prima in quel derby dove Montella timbrò il poker di reti ma la ciliegina del capitano non poteva di certo passare inosservata…ma Francesco può tutto e se avete dubbi andare a ricercarvi il goal fatto a Marassi nella stagione ’06-’07. Certo, non mancano le critiche di chi l’ha sempre visto in chiave negativa per quei suoi modi a volte bizzarri allegati a gesti non proprio ortodossi ma chi è senza peccato? E’ vero che quel calcione rifilato a Balotelli nella finale di Coppa Italia andava evitato come lo sputo a Poulsen ad Euro 2004 ma se in quest’ultima occasione scelse di difenderlo (scrivendo un pezzo sulla Gazzetta) persino una mente illuminata come Oriana Fallaci, forse qualche giustificazione l’avrebbe anche di diritto. Francesco è anche questo come quando da ragazzino amava la compagnia femminile e venne paparazzato insieme ad un’attrice del circuito di Tinto Brass; polemiche su polemiche da chi cercava un appiglio per rovinargli l’immagine. Quando invece venne messa in giro la voce di un legame con Flavia Vento fu la stessa moglie Ilary, compagna di vita e punto di riferimento per il capitano, a smorzare i toni dichiarando che era tutto falso. Il loro matrimonio fu trasmesso da Sky Tg24 per quattro ore di diretta dando vita a quella “moda” del binomio calciatore-velina tanto caro ai giornali di gossip. Per molti sembrava fosse tutto fumo senza sostanza invece a distanza di più dieci anni Francesco e consorte hanno messo a tacere tutti, malelingue in primis. Fra loro poche discussioni e al massimo riguardanti la scelta del nome del primogenito perché, diciamolo onestamente, quel Giordano proposto da Ilary fa pensare troppo al Bruno biancoceleste e allora meglio mille volte Christian. Totti però fa rima con cuore grande e non solo diventa ambasciatore Unicef ma adotta a distanza ben 11 bambini (una squadra di calcio) e gli incassi dei suoi libri vanno in beneficenza. Già, i suoi testi pieni di barzellette che lo vedono protagonista in chiave ironica e nati quasi per caso da un’ intuizione di Maurizio Costanzo e presa al volo dall’attaccante romanista. Pazienza se certe volte ha confuso “carpe diem” per una frasi inglese o se in certe occasioni ha esternato un pensiero politico che ha diviso o fatto parlare un po’ troppo…per chi ama il calcio Francesco è l’artista raffinato della sfera che gode della simpatia di “Eupalla”, citando Brera.

L’uomo capace di fare nelle sue ultime stagioni un goal pazzesco nel derby (quello del selfie), mostrando a tutti la forte dissonanza fra età anagrafica e quella percepita, oppure timbrare una doppietta dopo esser entrato a 5 minuti dalla fine, vedi Roma-Torino. Quel giorno lo stesso Spalletti, passato nel frattempo da profeta a “nemico” del Pupone (soprannome ideato dal giornalista del messaggero Mimmo Ferretti), dovette ricredersi sulle qualità del capitano sempre più privo di scadenza ed immortale. Non avesse fatto il calciatore non gli sarebbe dispiaciuto fare il benzinaio visto che non disdegna l’odore della benzina e poi avrebbe avuto il portafogli sempre pieno di soldi…alla fine ci ha guadagnato infinite volte di più economicamente e allo stesso tempo ha potuto provare e regalare emozioni che noi comuni mortali difficilmente avremo modo di assaggiare. Da ragazzino il suo idolo era Giannini e alla fine ha avuto pure la fortuna ed il piacere di giocarci ma non avrebbe mai immaginato di entrare nel cuore dei tifosi molto di più rispetto al “Principe”. La vista del sangue gli ha sempre fatto impressione ma del rosso (unito al giallo) della maglia non poteva farne a meno diventandone partita dopo partita sempre più dipendente come il più assetato dei vampiri. Forse non servono le parole di stima ricevute dai più grandi (Baggio,Maradona e Pelé su tutti), le standing ovation nei vari stadi o magari l’Atac di Roma che nei biglietti da viaggio mise la sua immagine (cosa avvenuta solo con tre pontefici) per capire la grandezza del personaggio….è sufficiente tornare a quel 28 maggio 2017, quel suo ultimo giro di campo, la famiglia accanto, la maglia giallorosa come abito, i tifosi in lacrime ed i suoi occhi pieni di…Roma!













Commenti