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I BIDONI delle Serie A: stagione '02-'03 (Ep.2)

Aggiornamento: 10 ott 2021


- di Luca Fazi - Che la Serie A degli anni ’90 e primi duemila avesse gli occhi di tutto il mondo sportivo puntati addosso è una questione ormai nota, visti i talenti che dispensavano poesia sui nostri campi e i vari club prestigiosi pronti a dominare anche fuori dai confini italici: il campionato 2002-2003 è l’esempio perfetto in questo senso. La Coppa Uefa (passata dall’essere una faccenda made in Italy a vera maledizione) è sfumata presto fra Chievo e Parma con solamente la Lazio del “Mancio” a tirar avanti l’orgoglio del tricolore fino ad una semifinale brutalmente persa contro i futuri campioni del Porto. Poco tempo per dispiacerci perché la prima donna europea, quella dalle “grandi orecchie”, viene corteggiata come non mai dalle nostre squadre, con addirittura ben tre rappresentanti fra le migliori quattro. E’ l’anno dell’euro-derby milanese che vede trionfare le tinte rossonere e di una Juve che manda a casa i campioni in carica del Real Madrid: la finale per la prima volta parla interamente la lingua del Sommo Poeta. Sarà Paolo Maldini, quarant’anni dopo il padre e sempre su campo inglese, ad alzare al cielo quel trofeo che mancava da quasi un decennio. La Juve però ha la vittoria nel dna e non può lasciarsi sfuggire la conquista del campionato che arriverà puntuale (semmai con qualche giornata d’anticipo) pur soffrendo qualcosa nei mesi iniziali. E’ la stagione di Fabrizio Miccoli, il bomber tascabile salentino utile alla causa perugina dopo il tradimento fatto alle “Fere” e di un Bobo Vieri nuovamente perseguitato dagli infortuni ma capace di fare più goal che presenza… 24 su 23. Il 2002-2003 vede una sorprendente retrocessione del Toro e il doppio spareggio salvezza fra Atalanta e Reggina con i calabresi capaci di espugnare il campo mai facile di Bergamo. Se la Serie A ha regalato emozioni non è stata da meno la sezione cadetta, iniziata con il ripescaggio della Ternana grazie al fallimento della Fiorentina e proseguita con il “Caso Catania” che ha creato non poche problematiche all’intero movimento calcistico. Ora però concentriamoci sui “bidoni” di quel campionato, ovvero quei giocatori stranieri arrivati in Italia (da sconosciute promesse o già affermati protagonisti del calcio) che hanno indegnamente deluso le aspettative per poi, ci tengo a precisare, non dimostrare più nulla (o quasi). Vengono presi in esame i migliori, o in questo caso peggiori, cinque… ma quanti ce ne sarebbero da aggiungere alla lista. Come sempre, buona lettura!


5° POSTO: Rubén Olivera

(Juve)


Sei milioni e poco più per portare “El Pollo” dal Danubio alla Juve. I colori della maglia sono gli stessi ma l’Uruguay non è l’Italia, la Serie A non è mai semplice (specialmente in quegli anni) e la società italiana ha il continuo obbligo di vincere sempre e comunque. Appena tre partite e subito viene girato in prestito all’Atletico Madrid dove anche lì convince ben poco. L’anno dopo, tornando alla base, risulta addirittura utile alla conquista del campionato grazie anche alle sue 4 reti ma Don Fabio (Capello) non riesce proprio a vederlo in quello spogliatoio. Per carità, ha continuato la sua carriera in Italia sapendosi adattare al nostro gioco ma senza mai toccare quei livelli alti che sembravano appartenergli.


4° POSTO: Carlos Gamarra

(Inter)


Siamo onesti, il centrale paraguayano ha risentito notevolmente del fatto d’aver preso parte ad un Inter a dir poco altalenante, capace di collezionare diverse figuracce e zero trofei, ma senza ombra di dubbio il calciatore in questione non ha fatto nulla per risollevare le sorti. In compenso, a differenza di altri “pacchi” nerazzurri, Carlos arrivò a parametro zero e quindi senza spese folli ma certamente in molti (non solo i tifosi del biscione) speravano su ben altre prestazioni, come quando dirigeva la retroguardia del suo paese… autogol (mondiale 2006) a parte.


3° POSTO: Juan Pablo Sorin

(Lazio)


Abbiamo parlato di calciatori arrivati in situazioni complicate e in periodi non facili? Bene, eccovi serviti con un altro esempio. Il laterale argentino non ha bisogno di presentazioni e quel 1996 che lo vide vincitore sia in Champions che in Libertadores (con Juve e River Plate, unico a riuscire in questa curiosa impresa) è sicuramente un ottimo biglietto da visita ma il secondo arrivo in Italia, sponda Lazio, è tutt’altro che felice. Con il Crack della Cirio cominciano ad esserci seri problemi economici tanto che la società biancoceleste non riesce ad onorare nemmeno la prima tranche del pagamento nei confronti del Cruzeiro. Fra richieste di svincolo, poca considerazione in campo e zero sintonia con i compagni, al difensore non resta che tornarsene in Brasile con un bagaglio di appena sei presenze.


2° POSTO: Carsten Jancker

(Udinese)


Sarà stato il “recente” riferimento con l’altro tedesco Bierhoff, che tanto bene aveva fatto in quel di Udine, ad ingannare gli occhi ed il cuore dei friulani ma quando il gigante Carsten arrivò alla dipendenze della famiglia Pozzo sembrava fosse realmente arrivato un campione… e quel cranio pelato luccicava come l’oro. Campionato giocato quasi per intero ed appena due reti messe a referto: la rescissione del contratto consensuale non tardò ad arrivare. Peccato per quel centravanti che aveva conquistato tutto con il Bayern forse, però, ciò che gli rispecchiava nella testa non aveva nulla a che fare con il metallo nobile. Nel 2002 non smise solo di giocare con la Germania ma in un certo senso concluse pure la sua carriera…


1° POSTO: Rivaldo

(Milan)


Sembrerebbe pura blasfemia accostare questo nome ai “bidoni” arrivati in Italia ma a tutti gli effetti il talento brasiliano, con il Milan, non è stato altro che un'enorme delusione. Poteva essere il colpo del secolo perché, malgrado i 30 anni, prendere un campione del mondo in carica dalle indubbie doti calcistiche e a parametro zero era un qualcosa più accostabile ai sogni che alla realtà… il flop però fu clamoroso. L’extraterrestre nella capitale lombarda sembra avere le fattezze dei comuni mortali e il suo apporto alla squadra fu pari a zero o poco più. Il fatto è che in quei mesi si stava separando dalla moglie e i figli li vedeva troppo di rado… inevitabilmente ne risentirono le sue prestazioni. Fuori da ogni previsione, fu il Milan ad essere importante per Rivaldo e non viceversa, facendogli vincere una Champions che mancava nella sua bacheca personale.



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