- di Luca Fazi - Dopo alcuni mesi di assenza torna la rubrica più stravagante del circuito In Barba al Palo, ovvero i “Bidoni della Serie A”, lo spazio ideale per citare e ricordare insieme quei giocatori stranieri giunti in Italia con la targa da scommessa o potenziali fenomeni e finiti nel dimenticatoio dopo prestazioni imbarazzanti… ad esser buoni. Questo giro è incentrato alla stagione 1999-2000, quella a cavallo fra i due millenni e dal finale imprevedibile. La Lazio dello svedese Eriksson si rende protagonista di una rimonta clamorosa che parte dalla 27° giornata fino al nubifragio di Perugia, dove annegò la Vecchia Signora e il suo comandante, mai troppo stimato dal proprio equipaggio, Carlo Ancelotti. Le cose per i bianconeri si erano già presentate sfavorevoli all’esordio con la neopromossa Reggina, quest’ultima capace di strappare un pareggio al Delle Alpi. Eppure, con il trascorrere delle giornate, Del Piero e compagni erano riusciti a primeggiare e dominare la corsa al tricolore, prima di inciampare nelle sfide con Milan, Lazio ed Hellas Verona. Il “colpo di Calori” non è altro che la fatality, la mossa conclusiva e letale capace di rendere ancora più spettacolare la morte dell’avversario. La Lazio bissa il successo del ’74 anche grazie ad una rosa di primissimo livello, con un centrocampo stellare (vedi Nedved, Veron, Stankovic e Simeone su tutti), una difesa dai grandi nomi (Nesta, Mihajlovic) e un attacco prolifico secondo solo (e per una rete di differenza appena) al Milan offensivo di Zac. Se parliamo di centravanti è impossibile non dare un’occhiata alla classifica marcatori dove svetta in solitaria con 24 centri (non dando l’autogol a Ripa del Perugia) un fenomeno giunto dall’Est e debuttante in Serie A: Andriy Shevchenko! Attaccante completo che magari non sarà il numero uno al mondo in un’abilità specifica ma dotato di un eccellente repertorio su ogni frangente. Marco Ferrante invece, aveva già assaporato la massima categoria calcistica e a suon di gol era riuscito nell’impresa di togliere i granata dalla cadetteria; 18 centri per lui in A ma insufficienti per salvare il club piemontese dalla retrocessione. Ora però concentriamoci sui “bidoni” di quel campionato, ovvero quei giocatori stranieri arrivati in Italia (da sconosciute promesse o già affermati protagonisti del calcio) che hanno indegnamente deluso le aspettative per poi, ci tengo a precisare, non dimostrare più nulla (o quasi). Vengono presi in esame i migliori, o in questo caso peggiori, cinque… ma quanti ce ne sarebbero da aggiungere alla lista. Come sempre, buona lettura!
5° POSTO: Ilija Ivic
(Torino)
Al Torino mancò un niente per salvarsi ma quel poco non arrivò (in particolare) proprio dal centravanti/trequartista serbo. Ex Stella Rossa (quella dei primi anni ’90… mica noccioline) e bomber assoluto con l’Olympiakos ma sotto la Mole si poté osservare un “mollo” per dirla alla Malesani. Alla prima di campionato sostituisce nientemeno che Lentini; poi i granata restano in dieci e viene richiamato per far posto ad un difensore. Un assist alla seconda contro il Venezia poi niente da segnalare, eccetto un vaffa di troppo lanciato al suo tecnico Mondonico, “reo” di averlo sostituito in una gara dopo appena venti minuti dall’inizio. Alla fine, 19 presenze e tabella centri immacolata: si torna in Grecia.
4° POSTO: Hiroshi Nanami
(Venezia)
Per il presidente Zamparini Hiroshi non ha le stesse caratteristiche di Recoba ma identico nella classe. A Totò Schillaci (suo compagno allo Jubilo Iwata) ricorda invece il Principe Giannini… ok, forse hanno “leggermente” sbagliato le varie analisi. Il Venezia del ’99-’00 naviga in cattive acque e non c’entra nulla la Laguna ma il nipponico non fa proprio nulla per salvarlo. Colpa di un calciomercato impazzito, colpa della febbre Nakata, sta di fatto che il talentino apprezzato in Coppa d’Asia si scioglie come neve al sole e a fine stagione tornerà a casa. Non prima di mettere a referto almeno un sigillo in A, segnando di sinistro su suggerimento di Pippo Maniero… poi se quel match si concluderà 5 a 2 per l’Udinese saranno solo dettagli.
3° POSTO: Cyril Domoraud
(Inter)
Quanti danni fece quella finale di coppa Uefa 1999! No, non al Parma, ultima italiana a trionfare in questa competizione, piuttosto all’Inter che si fece abbagliare dalla rosa del Marsiglia finalista… dalla difesa soprattutto. Lippi scelse Laurent Blanc e il suo compagno di reparto Domoraud; il primo non sfigurò affatto ma con il secondo si capì subito che furono gettati in fumo 8 miliardi di lire. Appena sei gettoni di presenza senza lasciare segni in positivo e l’anno successivo subito spedito in prestito dopo i disastri fatti fra Supercoppa Italiana e il preliminare Champions contro l’Helsingborgs. I nerazzurri lo mandano al “Diavolo” in tutti i sensi girandolo ai cugini milanisti nell’affare Helveg... ma nei rossoneri durerà appena dieci giorni prima di essere impacchettato per la Francia, destinazione Monaco. Una soddisfazione arriva dalla sua Costa d’Avorio che lo chiama per i Mondiali del 2006, facendolo esordire nell’ultima gara del girone e con la fascia da capitano al braccio.
2° POSTO: Gustavo Enrique Reggi
(Reggina)
Siamo negli anni ’90 ed arriva in Calabria un attaccante argentino: l’accostamento con Gabriel Omar (inutile inserire il cognome, sapete già di chi sto parlando) viene spontaneo… ma sono solo flebili speranze di tifosi sempre più sognatori e meno realistici. La Reggina è alla prima in A della sua storia e come battesimo si concede il lusso di bloccare una Juventus candidata al titolo finale. Niente festeggiamenti eccessivi perché alla seconda, e al Granillo, c’è la Fiorentina del Trap; la partita sta volgendo al termine con un 1 a 2 che premia i viola ma al 40’ Toldo papera in uscita e Gustavo Reggi è abile ad insaccare. Batistuta resta a secco in quella giornata, il connazionale del Re Leone no! Predestinato? Futuro glorioso? No signori, solamente goffe figuracce ed errori macroscopici davanti alla porta: fu il primo ed unico gol amaranto in 22 gare. La Reggina del talento Pirlo e delle sorprese Baronio e Kallon… non c’è spazio per Gustavo.
1° POSTO: José Mari
(Milan)
Pazzo Milan quello di Zaccheroni e sicuramente il ’99-’00 segnò proprio l’inizio di un periodo alquanto buio per la compagine rossonera ma i 40 miliardi di lire messi sul piatto per prendere José Mari saranno pura eresia in confronto al reale valore del giocatore. Parte Weah e arriva lui: non proprio miele per i palati fini dei milanisti, eppure il battesimo a San Siro contro la Roma aveva fatto sperare e non poco; Sheva, abbastanza spento, sostituito per l’attaccante spagnolo (numero 41) che insacca di testa un pallone pennellato dalla sinistra dai piedi vellutati di Zorro Boban… lo stadio sogna! E poi? Niente, si trattava di un incubo capace di regalare qualche emozione in Champions (vedi la rete al Barca) ma cinque sigilli in campionato, nel corso delle due stagioni e mezzo, sono veramente una miseria.
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