top of page
  • Immagine del redattoreLuca Fazi

Gualdo e non solo. Intervista a mister Nicolini



- di Luca Fazi - L’intervistato in questione non ha certamente bisogno di presentazioni, dato che le sue innumerevoli presenze in Serie A da calciatore, così come le importanti collaborazioni tecniche una volta appesi gli scarpini al chiodo, sono biglietti da visita fortemente eloquenti.

Enrico Nicolini appartiene a quelle categorie di persone che basano molto del proprio lavoro sul rapporto umano, cercando sempre di instaurare dei legami forti con i suoi ragazzi; umiltà, purtroppo anacronistica per i tempi che corrono, al servizio di un sapere tattico maturato in mille battaglie sul campo.



Una di queste l’ha affrontata a Gualdo, giunto in un periodo certamente complicato sotto alcuni aspetti… e allora partiamo da qui!

Salve mister e grazie per l’assoluta disponibilità. Dicevamo di Gualdo: cosa o chi ha favorito l’arrivo in terra umbra?

“Beh, io avevo allenato l’Ascoli dal ’95 al ’97 e quindi c’erano state diverse occasioni per incontrarsi contro gli umbri. Sia il presidente Barberini che, soprattutto, il ds Crespini mi hanno voluto sulla panchina biancorossa.

La società era rinomata per la serietà e l’ambiente sano… tutte qualità che poi ho potuto constatare di persona. Inoltre era passato da qui il mio amico ed ex compagno di squadra Novellino, che me ne parlava bene.

Ci tengo poi a precisare un’altra cosa. Ho avuto la fortuna di vivere molte realtà sportive, grandi e piccole che siano, ma solamente a Gualdo ho visto un presidente sempre puntuale con i pagamenti… i primissimi di agosto era già pronta la mensilità di luglio. Ti ho raccontato questo non per essere venale, semmai per sottolinearti l’unicità, anche in questo, di Barberini”.


Che presidente era?

Credo l’uomo perfetto nell’ambiente giusto. A Gualdo non si vivevano le pressioni delle grandi piazze e questo è un fattore che va gestito… trasmette tranquillità ma dall’altra parte può portare a cullarti sugli allori.

Ecco, per evitare questo Barberini era perfetto. Pretendeva molto perché dava molto; un padre-padrone sempre presente e capace di tenere alta l’attenzione. Nel mio secondo anno ci sono state magari delle divergenze, ma come è normale che sia”

Due stagioni a Gualdo molto difficili ma anche con note positive: qual è stato il ricordo più bello durante quel periodo?

“Indubbiamente il primo anno, stagione ’98-’99, quando sono stato richiamato nel girono di ritorno. Siamo riusciti a salvarci senza passare dai playout e non era scontato visto come si erano messe le cose.

Nell’ultima gara contro la Lodigiani, in trasferta, poteva bastare ad entrambi un pari ma dovevamo fare i conti pure con altri risultati intrecciati. Alla fine il nostro match si concluse a reti inviolate e ci bastò per la permanenza in C1… ricordo ancora il commovente abbraccio che ci scambiammo con il presidente dopo il novantesimo.

Un girone di ritorno strepitoso, dove solo un paio di squadre girarono più forti di noi. Se fosse stato così dall’inizio si sarebbe parlato di playoff e non playout”.

E poi il percorso in Coppa Italia…

“Assolutamente sì! Siamo arrivati in finale per quanto concerne quella di categoria, arrendendoci solo all’ultimo atto contro la Spal.

Poi, in quella vera, abbiamo bloccato al Luzi nientemeno che l’Udinese di Guidolin. Un’avversaria ricca di talenti e che arrivò in alto in Serie A, a due lunghezze dalla terza… all’andata per poco non sfioravamo la vittoria.

Onestamente il Gualdo aveva l’undici titolare all’altezza per salire anche di categoria, ma forse con pochi cambi. Era in atto una rivoluzione nell’organico e non è mai facile da dirigere”.

Il capitano di quella squadra, Massimo Costantini, parlando di lei ha speso solo belle parole, ringraziandola per la vicinanza durante gli infortuni: che rapporto aveva con lui?

“Non può che farmi piacere. Massimo era senza dubbio il leader carismatico e la fascia che indossava non era un caso. Veramente un grande esempio, di lealtà e serietà. Un leader che non aveva bisogno di grandi paroloni… silenzioso ma altamente efficace.

Mi sento però in dovere di elogiare l’intera squadra. Tutti ragazzi di volontà e costruiti con sani principi. Massimo era il mio braccio destro ma in generale era veramente un gran bel gruppo”.


Cosa le ha colpito della città di Gualdo?

Ti dico la verità, ho avuto poche possibilità di conoscere il posto perché sono uno di quelli che si immergono nel rettangolo verde h24. Quando lavoro penso esclusivamente alla squadra e la vita mondana si riduce a pochissimo, se non zero. Ho mantenuto diversi rapporti, anche con gli ex vicini di casa, ma direi che a Gualdo ho vissuto appieno l’ambiente sportivo, un po’ meno la città stessa.

Nella Samp, da giocatore, ha condiviso lo spogliatoio con un orgoglio gualdese, ovvero Nello Saltutti: cosa mi racconta di lui?


“Nello era una persona speciale… gli volevano bene tutti. Era genuino e sempre con la battuta pronta che rallegrava l’ambiente. Ci incontravamo spesso e sono stato pure a casa sua. Rimasi veramente male per la sua morte”.

Tornando indietro, dalla panchina al campo: che giocatore era Enrico Nicolini?

“Mah, direi sicuramente un mediano di rottura, di quelli che buttano fuori sempre forza e agonismo. Aggiungerei pure con una discreta tecnica dato che qualche gol sono riuscito a farlo”.

Qualche rimpianto come calciatore?

“No, rimpianti proprio no. Magari, ripensandoci, quando arrivai a Napoli avrei voluto giocarmi meglio le mie carte… diciamo che ero al momento giusto ma nella squadra sbagliata.

I partenopei spesero per me ben 800 milioni, e ti garantisco che per l’epoca era una gran bella cifra, tuttavia nel mio ruolo c’era sovrabbondanza così dovetti adattarmi in schieramenti non miei”.


Tra i compagni di squadra che ha avuto ci sono Marcello Lippi, ai tempi della Samp, e Claudio Ranieri, a Catanzaro: si vedeva già allora che sarebbero diventati ottimi allenatori?

“Beh, confermarlo ora non avrebbe molto senso e sarebbe piuttosto facile. Dei due avrei detto più Claudio, che sento spesso ed è un mio carissimo amico, perché già da giocatore sembrava pronto per sedersi in panchina. Spesso ci scherzo sopra e gli dico che è nato vecchio, a differenza di Marcello che era il belloccio della situazione, ma non per questo un tipo leggero. Parliamo di uomini seri, che sin da giovani avevano la testa sulle spalle.

Per Claudio sono stato felicissimo quando è riuscito nell’impresa di vincere la Premier con il Leicester; aveva davanti dei concorrenti ben più attrezzati, veri e propri colossi dal punto di vista tecnico ed economico, eppure è avvenuto un miracolo… dove gran parte del merito è suo. L’allenatore è un mestiere infame, perché non sempre raccogli ciò che semini e la casualità certe volte ti rema contro, ma loro due hanno ottenuto quello che meritavano. Campioni dentro e fuori il campo”.

Rimaniamo a Catanzaro e parliamo di un altro suo ex compagno: Massimo Palanca. Sia sincero, quante volte provava in allenamento quei tiri dalla bandierina?

“Ah ah ah, Massimo altro mio carissimo amico. Ti confesso che gli veniva tutto molto naturale. Certo, avevamo uno schema con Ranieri che andava puntualmente a disturbare la visuale del portiere… ma Massimo non doveva provare molte volte.

Il piedino che aveva lui l’ho ritrovato in pochi, e ne ho conosciuti diversi di campioni. Solitamente o si è forti o si è precisi… Palanca aveva entrambe le qualità!

A Catanzaro, dove ancora lo chiamano O’Rey, viveva la dimensione perfetta senza pressioni eccessive. Infatti, se devo proprio trovargli un difetto, tendeva spesse volte a demoralizzarsi quando le cose magari non giravano… ecco, con un carattere forte avrebbe retto le grosse piazze. Massimo poteva tranquillamente giocare con il Real Madrid.

Una volta eravamo in trasferta contro la Roma e nei giorni precedenti al match ci furono alcune dichiarazioni degli avversari e in particolare del loro portiere; a quanto pare avevano studiato al dettaglio come fermarci e soprattutto come fermare Massimo... dopo 5 minuti però aveva già segnato dalla bandierina e infine fu tripletta".



Mister, se le dico 13 dicembre 1981 a che cosa pensa?

“Penso allo stadio di Ascoli tutto esaurito e ad un 1 a 0 firmato dal sottoscritto, contro la corazzata Juve composta dai vari Zoff, Scirea, Cabrini, Gentile e tanti altri campioni.

Dalla sinistra venne battuto un calcio d’angolo e staccai di testa, anticipando Tardelli; non colpii benissimo la sfera, in realtà volevo prolungarla, ma alla fine venne fuori un tiro che battezzò l’incrocio dei pali.

Sconfiggere uno squadrone come la Juventus è sempre qualcosa di unico e quella volta acquistò ancor più valore perché battemmo una formazione composta dall’ossatura che da lì a qualche mese sarebbe diventata campione del mondo.

Devo dire che i miei gol non sono stati tantissimi ma li ho ben distribuiti tra le big, eccezion fatta per l’Inter contro la quale non mi è mai riuscito andare in rete”.


Mentre se le dico Maradona cose le viene in mente?

“Beh, un Ascoli - Napoli dove venni sanzionato ingiustamente. Maradona mi fece un’entrata violenta, a gamba tesa, ed io reagii immediatamente andandogli davanti, con un po’ di spavalderia. Lui mi mise le mani in faccia ed io andai giù a terra.

Non mi aveva fatto male ma comunque aveva alzato le mani e andava punito; alla fine l’arbitro espulse entrambi con due giornate a me ed una a Diego. Scrissero che ero il solito violento e altre cretinate, quando invece il mio gioco aggressivo questa volta non c’entrava nulla. Con i ricorsi venne tolta una giornata sia a lui che a me… morale, venni punito solamente io. Pazienza…”.


Mister, è più facile allenare o giocare? Come allenatore ha qualche rimpianto?

“Assolutamente giocare! Per meglio dire, meno difficile. Le grane ci sono sempre ma sei quasi totalmente responsabile del tuo destino, seppure parliamo di uno sport di squadra.

In panchina invece non si tratta di stilare solamente un undici titolare e dargli un modulo, ma occorre essere un po’ tutto, in primis psicologo. Puoi essere bravo ma il risultato è vincolato da diversi fattori che devono combaciare.

Poi i tempi sono cambiati e al giorno d’oggi è ancora più complicato. Una volta ad assistere all’allenamento trovavi il presidente e forse il ds… ora tutti si improvvisano esperti in materia e devi andar d’accordo con chiunque. Abbiamo anche degli esempi recenti, con società tutt’altro che snelle dove a comandare sono in diversi.

D’altro canto i progressi della scienza permettono di sapere vita, morte e miracoli degli avversari, con strumentazioni e strutture che facilitano il lavoro del mister. Quindi, in risposta alla prima domanda, è più facile giocare anche se allenare da molte più soddisfazioni.

Rimpianti come allenatore? Solo uno, cioè lo spareggio playoff perso nel ’96 contro la favola del Castel di Sangro… forse lì la mia carriera sarebbe potuta decollare con la promozione in B dell’Ascoli.

Peccato non aver giocato la finalissima al Flaminio, come doveva essere; oltretutto sarebbe stato molto più comodo da raggiungere per i nostri tifosi, invece di Foggia, ma alcuni personaggi riescono ad essere molto influenti nelle scelte”.

Qual è stato il giocatore più forte che ha avuto a disposizione come allenatore/collaboratore tecnico? Quale invece il più temibile come avversario in campo?

“Sento di risponderti senza dubbi… Baggio e Maradona! Roby l’ho avuto a Brescia, quando collaboravo con Mister Mazzone, e credo che ogni parola sia riduttiva per descriverlo. Avevamo una gran bella squadra, alla quale non scordiamoci è stato aggiunto Guardiola, non uno qualunque.

Come avversario in mezzo al campo sicuramente Maradona… il suo genio calcistico non si discute”.

Grazie di cuore mister per la disponibilità… è stato un piacere!

“Grazie a te, ai lettori di In Barba Al Palo e un grosso in bocca al lupo per il Gualdo!”.



157 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page