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"Grazie a Pioli decisi di allenare. Cosenza nel cuore" - De Angelis si racconta

Aggiornamento: 9 mag 2021



- di Luca Fazi - Nonostante la giovane età, Stefano De Angelis può vantare già un’esperienza decennale in panchina; un ruolo, quello dell’allenatore, che l’ha coinvolto subito dopo aver detto basta con il calcio giocato. Da dentro a fuori il rettangolo verde: a mutare, di certo, non è soltanto il punto di osservazione. Tuttavia l’amore per questo sport è il comune denominatore che lega il passato al presente, il giocatore al mister. Nel professionismo, in maglietta e pantaloncini, ha collezionato la bellezza di 18 stagioni tra gli anni novanta e i primi duemila… considerando l’alto livello tecnico del periodo in questione, un dato senza dubbio molto significativo.


Stefano, partiamo proprio da questo: cosa è mancato per il grande salto in A?

“Con tutta onestà, non mi sono mai arrivate offerte dai club. Ne ho ricevute tantissime da piazze importanti e con sogni ambiziosi, come Palermo, Genova e Reggio Calabria, ma sempre quando le rispettive squadre militavano nella serie cadetta. Mi ritengo allo stesso tempo fortunato ed orgoglioso per la mia carriera, per aver indossato certe maglie e per aver fatto parte di un calcio d’altissimo livello… di un calcio decisamente più meritocratico”.


C’è una città in particolare che porti nel cuore?

“Non è semplicissimo darti una risposta… mi metti in difficoltà. In ogni ambiente ho ricevuto qualcosa di speciale, instaurando dei rapporti di amicizia che coltivo tuttora. Se devo farti soltanto un nome ti dico Cosenza. Qui ho disputato tre campionati da calciatore, ho avuto il piacere di allenare e ci vivo. A Cosenza ho conosciuto la donna che poi è diventata mia moglie… non può essere un posto qualunque. La tifoseria calda ti entra nel cuore… la maglia è un’armatura che ti rimane addosso. Cosenza è speciale”.


Nella tua lunga carriera, quale compagno ti ha impressionato maggiormente?

“Beh, come hai detto tu, ho vissuto diverse stagioni ed ho condiviso lo spogliatoio con tantissimi colleghi. A Cagliari, così come a Genova o a Salerno, ci sono stati dei campioni che veramente erano di un’altra categoria tuttavia, sempre se devo sceglierne soltanto uno, torno a Cosenza e ti dico Gigi Lentini”.


De Angelis e Lentini, ai tempi di Cosenza

Cosa ti colpiva di lui?

“Mi ricordo che faceva effetto vederlo tra di noi. Negli anni novanta era stato una vera e propria icona, soprattutto dopo la cifra record versata dal Milan per acquistarlo. Purtroppo l’incidente ha condizionato gravemente una carriera che sarebbe stata senza dubbio diversa. Era uno di quelli che dava tutto in campo, anche se cominciava già ad avere una certa età. Negli allenamenti era sempre avanti, non mollava mai.

Poi mi ricordo un particolare curioso. Lui curava molto l’abbigliamento ed aveva un modo di vestirsi alquanto eccentrico; quando entrava nello spogliatoio lo guardavamo spesso per come si era conciato e non gli dispiaceva stare al centro dell’attenzione. Una volta, con il sorriso, ci disse:

Io posso, voi no”.

Ti ripeto, era veramente un grande; nonostante non fossi giovanissimo, sono riuscito ad imparare molto da lui. Comunque faccio uno strappo alla regola e nomino anche Pietro Strada… grande professionista”.


Allora cambio domanda ma non metto limiti: quali ex compagni avrebbero meritato una carriera migliore?

“Qui la lista sarebbe talmente lunga che non la finiamo più. Ti rispondo in maniera istintiva: Raffaele Costantino e Davide Tedoldi. Il primo aveva veramente dei numeri importanti come esterno offensivo ed era riuscito pure ad esordire in A, in un campionato pieno zeppo di campioni. Purtroppo i seri problemi al nervo sciatico gli impedirono di rendere come poteva. Per quanto riguarda Davide invece, era un centrocampista che faceva la differenza ovunque e quando era in giornata andava oltre. Ha fatto troppa C per la forza che aveva”.


Prima hai nominato la squadra del Cagliari con la quale hai segnato il primo ed unico gol in B, contro la Pistoiese. La verità: volevi calciare in porta oppure era un cross?

“Ammetto di aver tentato il cross ed invece finì in rete. Inoltre fu un gol vittoria che ci regalò tre punti pesantissimi in chiave salvezza. C’è da dire che sono stato sempre un amante dei cross tesi, quindi i miei passaggi potevano risultare pericolosi, ma quella volta no… si trattò solo di fortuna”.



Da giocatore ad allenatore: per Stefano De Angelis che cosa è cambiato?

“Chiaramente ci sono responsabilità diverse ed occorre curare ben altri aspetti, ma le mie due vite sportive sono legate dallo stesso filo, quello della passione. Conta sempre dare il massimo e tirar fuori il meglio dai tuoi giocatori. Ho allenato in tutte le categorie dalla Serie C a scendere, giovanili comprese: la passione deve esserci a prescindere”.


Nel tuo lavoro quotidiano ti ispiri a qualche tuo ex allenatore? Devi dire grazie a qualcuno in particolare?

Con la maglia dell'Ischia

“Sicuramente sono grato a Vincenzo Rispoli, che mi allenò ad Ischia. A diciotto anni ero in Primavera e stavo per mollare… potevo smettere. Fu lui a stimolarmi ed ad aiutarmi anche nell’aspetto mentale. Gli devo tutto.

Permettimi di ringraziare anche mister Enrico Nicolini, un allenatore che per i propri calciatori si sarebbe buttato nel fuoco. Condividemmo una stagione in C1, che non andò benissimo in termini di risultati, ma non potrò mai dimenticare la sua impronta a livello umano. Io ed un altro compagno eravamo in scadenza di contratto ed avevamo diverse offerte dai club di B. In una gara stavamo sotto di due reti, già a fine primo tempo; non eravamo i peggiori in campo, eppure un dirigente entrò nello spogliatoio e ci accusò con toni forti. Il problema, evidentemente, non era la prestazione ma la situazione contrattuale. Nicolini prese le nostre difese e lo cacciò via dalla stanza. Sono cose che ti rimangono dentro. Mi ha insegnato molto tatticamente, anche perché la sua esperienza come ex giocatore è indiscutibile, ma quel gesto non lo dimenticherò mai. Persona fantastica.

Stefano Pioli a Salerno

Infine devo ringraziare Stefano Pioli, che incontrai a Salerno nel 2003/2004. Era all’esordio con una prima squadra ma già si intuiva la stoffa. Fu lui a spostarmi da terzino sinistro fluidificante a centrale di una difesa a tre. Nei rapporti umani con i calciatori era il numero uno e non mi meraviglio del suo percorso. Devo ammettere che osservandolo ho scelto di fare questo mestiere. In una delle prime interviste da allenatore dichiarai inoltre che mi ispiravo a lui”.


Passiamo un attimo al campionato di Serie A che sta volgendo al termine: ti aspettavi l’Inter campione d’Italia? L’annata della Juve si può ritenere fallimentare?

“Parlare dopo è sempre facile ma i nerazzurri hanno avuto diversi meriti, a partire dalla scelta dell’allenatore. Senza troppi giri di parole, Antonio Conte è un vincente. Il suo calcio può non essere “bello” ma è concreto come pochi. È molto raro assistere a delle goleade ma alla fine, soffrendo il giusto, porta a casa i tre punti.

Per quanto concerne la Juve, credo che in questa stagione qualsiasi allenatore avrebbe faticato… è ingiusto passare tutte le colpe a Pirlo. I bianconeri necessitano di una svolta generazionale e non è mai semplice trovarsi nel bel mezzo dei cambiamenti”.


Ultima domanda: che cosa ti auguri per il tuo futuro?

“Spero di toccare alti livelli anche se non amo proiettarmi troppo in avanti. Mi piace guardare e vivermi il momento, sempre con quella passione che ti dicevo… è imprescindibile. Ora guido l’Ostia Mare in D e per me è come se fosse il Barcellona. Lo stesso valeva quando dirigevo il Cosenza in C o il San Luca in Eccellenza. Chiaramente serve anche un pizzico di fortuna”.


Ti auguriamo di averla e di raggiungere i tuoi obiettivi… grazie mister!

“Grazie a voi e un saluto ai lettori di In Barba al Palo”.



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