Gigi Lentini: il bello e dannato del calcio
- Luca Fazi
- 27 mar 2019
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di Luca Fazi - Per Jorge Valdano lo specialista del dribbling non è altro che un giocatore di poker che bleffa con tutto il corpo, pronto a giocarsi il pallone faccia a faccia con il proprio avversario: chi vince se lo porta via. Gianluigi Lentini da Carmagnola, per gli “amici” Gigi, era uno che sulla “finzione” tecnica ci aveva costruito le basi della sua carriera; atteggiamento da leader, dinamismo e quella sfera di cuoio che come in un numero da prestigiatore scompariva e riappariva sempre con lo stesso finale…rimanendo fra i piedi del numero 11. Già, quello riservato per istituzioni passate all’ala, capace più di tutti nel portare scompiglio fra le difese avversarie dando brio all’interno del match. Gigi non ha paura della fatica perché i suoi, nati in Sicilia ma emigrati al Nord per cercare lavoro, gli hanno insegnato prima di tutto il valore del sacrificio, vera scialuppa di salvataggio quando si è costretti a navigare in mezzo alle difficoltà. Lentini però sembra essere un predestinato, uno di quelli che per natura non possono stare come gli altri a perder tempo con le file; non fraintendetemi, niente favoritismi, ma quando nasci con certe doti tecniche è impossibile e altamente ingiusto bloccarti come un comune mortale. A soli 10 anni viene tesserato dal Torino, a 17 è pronto ad esordire in prima squadra nientemeno che sotto la guida di mister Radice, insomma non proprio l’ultimo degli arrivati specie se il punto di vista ha le tinte granata. Cosa sogna il giovanissimo Gigi? Magari uno scudetto, con o senza l’uomo di Cesano Maderno in panchina, o forse un trofeo europeo ma di sicuro quella partita (persa per 2 a 0) contro il Brescia del novembre 1986 non poteva essere abbastanza eloquente. Avrebbe potuto raccontare di un ragazzo promettente che brucia le tappe ma ce ne sono stati, ci sono e ce ne saranno fin troppi di talenti in erba durati come un cerino a tiro di vento; le parole allora vengono affidate al campo e al Dio del calcio, il quale sembra averlo già da tempo cosparso con il profumo della sacra classe…essenza purissima. Due anni, due stagioni con il suo Torino prima di finire in prestito all’Ancona in B; non ci sarebbe voluto andare, sentiva la maglia granata come una seconda pelle, ma lo spazio nella rosa era fortemente ridotto e la piazza dorica rappresentava una valida opzione per farsi le ossa e al contempo metter su esperienza.

Così il buon Gigi si trasferisce nel 1988 in territorio marchigiano e alla corte di mister Cadè disputa un campionato niente male dal lato individuale. Arrivano le prime reti, quattro e tutte in trasferta, oltre alle giocate da illusionista che nel suo repertorio trovano spazio come se fossero la cosa più normale di questo mondo…e le prodezze non passano inosservate. Torna alla base già dall’anno successivo ma la squadra che ritrova non è la stessa; i nuovi acquisti hanno faticato più del previsto e la retrocessione in B, seppur arrivata solo all’ultimo, non può che essere il logico epilogo. Non tutti i mali però vengono per nuocere e quella permanenza nel secondo livello calcistico italiano può trasformarsi nella giusta occasione per mostrare gli attributi e conquistare finalmente il cuore dei tifosi del Torino…la sua gente. Il campionato termina con un primo posto ottenuto in anticipo e le marcature personali salgono a 6 in appena 22 presenze: in maglia granata non andrà mai oltre. Mister Fascetti è l’autore del rapido ritorno in A ma per lui nessuna riconferma (andrà a centrare un’altra promozione con il Verona) e al suo posto viene chiamato Emiliano Mondonico: fra lui e Gigi è amore a prima vista! Il primo è istintivo e genuino, il secondo fa dell’imprevedibilità il suo piatto forte, ecco che allora il rapporto si indirizza sui binari giusti. Badate bene, non si tratta di un amore in modalità “famiglia del Mulino Bianco” ma tutt’altro; i due si insultano spesso e “volentieri” (e Lentini non ama mai star zitto) ma alla base si respira aria di assoluta fiducia, imprescindibile per entrambi. Il calcio è fatto da uomini e l’armonia in gruppo non può assolutamente passare in secondo piano; la squadra pensa da collettivo, i movimenti sono orchestrali e i risultati, come quasi sempre avviene se il lavoro è fatto bene, si vedono sul rettangolo verde.

Primo anno sotto la guida del “Mondo” (1990-1991) e subito piazzamento uefa con il quinto posto in campionato oltre alla conquista della Mitropa Cup…Lentini è l’uomo con più presenze ed ormai idolo della curva. I capelli perfettamente ordinati da bravo ragazzo fanno spazio al “mullet”, l’acconciatura che grazie a Simon Le Bon va per la maggiore a partire dalla seconda metà degli anni ottanta; chi sopra un palco, chi calpestando l’erba del Delle Alpi…sono entrambi performer famelici di applausi. Il pesante orecchino sul lobo sinistro non può che essere il tocco in più per raggiungere senza troppi giri quello stato di bello e dannato, come un pirata senza scrupoli pronto a fare strage di nemici e di cuori.

Il ’91-’92 vede la compagine granata raggiungere addirittura la terza piazza finale e conquistare una finale di Coppa Uefa che ancora grida vendetta. Il cammino europeo si conclude malamente all’ultimo atto con l’Ajax dopo aver eliminato il Real Madrid in un confronto destinato a fare storia. Fra sviste arbitrarli, pali e sedie alzate al cielo in quel di Amsterdam, la doppia sfida con i lancieri rimarrà come un ricordo agrodolce, una sorta di purgatorio diviso fra l’orgoglio d’esserci arrivati e lo sconforto per aver fallito sul più bello e con molte cose da recriminare. Il ’92-’93 porterà al Toro una Coppa Italia ma fra i gli eroi non comparirà il nome di Lentini che nel frattempo aveva accettato l’offerta del Milan. Anche questa volta niente di voluto perché, come già scritto, il legame fra Gigi e il Torino si faceva mese dopo mese sempre più consolidato e quella città rappresentava ormai una famiglia dalla quale non avrebbe voluto staccarsi. Perché allora il trasferimento? I motivi sono vari a partire che in quegli anni i rossoneri di Milano adottano la chiara politica del “i più forti vengono da noi” e il presidente Berlusconi tenta in tutti i modi di convincerlo a firmare il contratto. Prova una prima volta mandandolo a prendere con un elicottero personale, tappa finale ad Arcore, per poi incassare un iniziale rifiuto…al secondo volo arrivò l’ok. Un sì poco convinto tanto che il suo procuratore Pasqualin (come riportato dallo stesso) accompagnerà personalmente Gigi a Milano per la firma ma senza fare benzina dato il timore che nell’attesa al distributore arrivassero dei ripensamenti. La bellezza di 32 miliardi al giocatore spalmati per quattro anni, 23 destinati al Torino più 10 alquanto “sospetti (ci sarà un processo a riguardo): “mister 65 miliardi” sbarca al Milan! I tifosi del Toro speravano di coccolarsi un nuovo Gigi, come Meroni, capace di riportarli nei primissimi livelli del calcio nazionale e oltre ma tutto svanì in una notte di inizio estate. Lentini esce dalla sede dell’Ansa come un delinquente, prendendosi in faccia sputi e monetine che da lì ad un anno toccheranno anche a personaggi più influenti. In realtà Tangentopoli aveva già fatto alcune vittime e fra queste lo stesso presidente granata, Gian Mauro Borsano, costretto per problemi finanziari a dover cedere i suoi pezzi migliori nel giro di pochissimo tempo. La scelta obbligata si portò dietro le minacce dei tifosi granata che l’accusarono d’aver venduto il “proprio figlio”; insomma, una situazione caotica che fa felici ben pochi e arrabbiati o delusi molti.

Lentini arriva nel Milan di Capello sapendo alla perfezione che nessuno ha il posto assicurato perché i fuoriclasse non mancano di certo e basta poco per perdere la fiducia dell’allenatore, inizialmente ben disposto verso il nuovo acquisto. Sette saranno i sigilli finali in campionato, fra questi memorabili la rovesciata al Pescara e il gol spettacolare nel derby, e in linea di massima, con lo scudetto cucito sul petto, tutto sarebbe girato per il verso giusto se in mezzo non ci fosse stata quella finale Champions persa contro il Marsiglia. I francesi davanti alle star rossonere sembrano carne da macello ma il calcio non è una scienza esatta e la rete di Boli consegna la coppa fra le braccia di Deschamps e compagni. Lentini, come il resto della squadra, non brilla e dopo lo smacco di Monaco giura a sé stesso di alzare prima o poi quelle “grandi orecchie” da protagonista...ma l’impegno personale sarà destinato a rimanere inespresso. Nel 1993 “Nord sud ovest est degli 883 spopola in radio invece proprio in quell’estate la vita, come la carriera, del calciatore prendono direzioni tristemente precise. E’ la notte fra il 2 e il 3 agosto quando la porsche gialla di Lentini sbanda pericolosamente sul tratto d’autostrada Torino-Piacenza all’altezza di Villanova d’Asti; in quella zona Gigi, 24 anni prima, aveva trovato la vita…ora rischia la morte. Tornava da Genova avendo disputato un triangolare organizzato per il centenario del Genoa e forò una gomma dopo pochi chilometri . La sostituzione avvenne attraverso un ruotino di scorta con l’intenzione di far controllare tutto una volta arrivato a destinazione. Su quel viaggio i vari giornali di gossip scrissero fiumi di parole alludendo ad un appuntamento hot fra il calciatore e Rita Bonaccorso, ex di Totò Schillaci e amante “segreta” del talento rossonero. L’artista per definizione è “sensibile alla bellezza”, che riguardi le donne come le macchine, e in quella sera il brivido del rischio superò ogni misura: i 200 km/h, dei settanta consentiti con un ruotino, lo portarono fuori strada e solo l’incontro fortuito con un trasportatore di quaglie lo salvò dal peggio.

Il camionista Gianfranco, ignaro completamente di chi fosse quel corpo rimbalzato in mezzo alla strada, chiamò i soccorsi e grazie al suo tempestivo intervento la vicenda non finì in tragedia. Alcuni giorni in coma per poi svegliarsi con seri problemi di memoria e difficoltà linguistiche…i logopedisti, come i fisioterapisti e specialisti vari, furono artefici di un piccolo miracolo. Un iter però lungo quanto complicato che lo costrinse a stare fermo per quasi tutta la stagione ’93-’94: persa l’occasione di esserci nel trionfo di Atene e persi pure i Mondiali statunitensi ma nulla di grave in confronto ad un eventuale sconfitta con la vita. Sacchi, ct azzurro, l’aveva aspettato a lungo, “guarda che se ti riprendi io ti porto anche all’ultimo”, ma i test fisici davano ancora risposte negative e saltò la chiamata. All’inizio della stagione ’94-’95 torna però il sereno (solo apparente) e, dati alla mano, Gianluigi dimostra di essere uno dei migliori in squadra; magari meno dribbling ubriacanti e qualche insicurezza di troppo dettata dal post incidente, eppure il calciatore piemontese è sicuro dei propri mezzi e convinto che ci siano ancora pagine importanti da scrivere. Lo credono alcuni tifosi, qualcuno della stampa, sicuramente Mondonico che nel frattempo non ha mai smesso di apprezzarlo ma manca l’ok più decisivo..quello di mister Capello. Il tecnico friulano è ligio alle regole e quell’atteggiamento sbarazzino di Lentini deve averlo infastidito non poco. A maggio del ’95 il Milan è nuovamente in finale di Champions, sta volta contro l’Ajax (vecchia conoscenza per l’ala ai tempi del Toro) e i rossoneri hanno i pronostici dalla loro. I giovani olandesi però sono più affamati di vittoria e il gol di Kluivert a poco dalla fine porta il trofeo verso Amsterdam. Gigi viene relegato in panchina e fatto entrare solo all’ottantaquattresimo, giusto in tempo per vedersi subire la rete decisiva…è rottura completa con Capello. Resta un altro anno con appena nove partite giocate in campionato e l’ultima rete a San Siro siglata al Cagliari che prende la forma dei saluti; alla fine vince il terzo scudetto ma come in tutte le sue conquiste da rossonero c’è ben poco di suo. Quando perdi fiducia in te stesso l’unica cura può arrivare solo da chi ha avuto sempre stima nei tuoi confronti, quindi ecco spiegata la scelta di raggiungere l’Atalanta di Mondonico, il suo padre sportivo.

Nell’anno di Bergamo, Gigi ritrova la passione e la Nazionale, ultima volta, grazie alla chiamata per l’amichevole contro la Bosnia. Gioca praticamente tutto il campionato (e non era scontato visto gli ultimi anni), mette a referto quattro gol e i suoi continui spunti facilitano il compagno Pippo Inzaghi nella conquista della classifica dei cannonieri. Il Milan lo rivorrebbe ma Lentini, ormai stanco dei sogni infranti, decide di farsi cullare dalle braccia amorevoli del puro romanticismo e firma per il Toro in Serie B. Ad accoglierlo non ci sono più le monetine del ’92 ma nemmeno quegli applausi che gli avevano riempito il cuore negli anni della formazione. La promozione in A, che continua a sfuggire ai granata, sarebbe un ottimo regalo per farsi nuovamente amare ma nel giugno del ’98 succede l’impossibile. Il Toro perde lo scontro diretto (dopo diverse polemiche) con il Perugia e nel finale di stagione si fa recuperare il vantaggio che aveva sugli umbri; lo spareggio di Reggio Emilia finisce ai rigori con l’errore decisivo del granata Dorigo. Da qui nasce la rivalità tra le due tifoserie e un rapporto poco amichevole fra Lentini e Marco Materazzi, reo di colpi proibiti sia nella partita di ritorno della regular season, sia nella finalissima: “non ho parole per definirlo, fa entrate da omicidio…e una volta, senza telecamere, era abituato a fare anche di peggio”.
L’ennesima sconfitta di Lentini, una delle tante giunte quando manca proprio un niente per il successo, ma nessuna paura perché la promozione arriverà dopo solo un anno. Ferrante leader della classifica marcatori e un Gigi rinato sono fra gli artefici del secondo posto in classifica utile per la massima serie. L’artista di Carmagnola però non dà, insieme agli altri, il giusto apporto per la salvezza in A e la permanenza fra le big si chiude con l’inizio del 2000. Lentini ha 31 anni e da tempo sente di non essere più un calciatore, o almeno non uno di quelli adatti ai grandi palcoscenici, così si lascia andare per diversi mesi eccedendo con le sigarette e i bicchieri. Sembra professionalmente finito ma l’ala riscopre nuove motivazioni giunte proprio da dove tutto iniziò, ovvero il Sud d’Italia: per lui c’è il Cosenza! La parte bassa dello stivale aveva dato i natali ai suoi genitore e forse quello era un segno del destino per fargli capire che c’era ancora da dare, da faticare e conquistare. Nel primo anno con i silani sfiora una storica quanto clamorosa promozione in A, grazie anche ad un girone d’andata di gran lunga sopra le aspettative… nove settimane e mezzo da capolista, poi la squadra arrivò ottava.

Il 2001-2002 vede una salvezza risicata e un Mondonico che riabbraccia il suo pupillo per la quarta volta in carriera (entrambi presenti nella società rossoblu) ma è dal 2003 che prende forma un altro trattato del romanticismo contemporaneo; il Cosenza retrocede e fallisce ma Gigi resta ripartendo dalla D. Non riesce a riportare il club fra i professionisti ma quella scelta lo portò a farsi amare da tutta la tifoseria e da quelli che guardano il calcio dal lato poetico, senza bilanci ma solo passione. A 35 anni è il caso di smettere? Forse sarebbe stato giusto e logico ma Gigi, l’abbiamo capito, è tutto meno che prevedibile, come il più folle degli artisti; passa la bellezza di otto anni a calpestare l’erba delle serie minori piemontesi. Magari la vicinanza a casa oppure quel sentirsi finalmente libero e spensierato come non gli capitava da troppo tempo, sta di fatto che l’ex granata gioca, segna e si diverte pure, insieme all’amico di sempre Diego Fuser con il quale condivide le esperienze di Canelli, Saviglianese e Nicese.

Come vive ora Lentini? Sereno e lontano dal mondo del pallone, se non per seguire suo figlio Nicholas che a differenza del padre gioca in porta. Gestisce un locale con tanto di sala da biliardo, forse pensando a quando giocava a stecca con Boban e Albertini…ma il ricordo di Milanello è assai lontano. Non andò alla Juve che lo voleva fortemente non solo per la differenza economica ma perché “la Juve non è come il Milan per chi è cresciuto nel Toro”; segno di un forte rispetto verso i tifosi, indizio inconfondibile che lui non desiderava altro che restare in maglia granata. L’Osservatore Romano scrisse circa il suo trasferimento stratosferico che era “un’offesa alla dignità del lavoro”, altri gli contestarono di rappresentare un modello negativo: “Io? Sono i drogati ad essere un cattivo esempio…non io!”. Cosa resta del Gigi calciatore? Le prodezze tecniche che i video hanno reso immortali ma anche la consapevolezza che senza quell’incidente sarebbe andato lontano e chissà fino a che punto. La percezione che senza quelle bravate e quei vizi avrebbe lasciato orme indelebili nel calcio che conta…ma senza quelle bravate e quei vizi non sarebbe stato Gigi, Gigi Lentini.













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