Felice Centofanti: tra Inter e Striscia la Notizia
- Luca Fazi
- 23 mag 2019
- Tempo di lettura: 6 min

- di Luca Fazi - Dice un vecchio proverbio abruzzese che “Lu vene ‘bbone se venne senza frasche”, ovvero il buon vino si vende senza frasca, tralasciando quindi il dover ricorrere ad una superflua ed eccessiva pubblicità. Cosa c’entra con il personaggio-calciatore a cui è dedicato questo spazio? Beh, innanzitutto perché il buon Felice Centofanti, o 100fanti se preferite la versione tamarra, nasce nel 1969 a Teramo (quindi Abruzzo), città che non solo riporta all’origine regionale del detto popolare ma anche famosa per la produzione di ottimi vini. Tutto qui? No, state sereni, il parallelismo continua; già, perché semmai vi venisse voglia di ricercare in un’ipotetica “enciclopedia degli atteggiamenti” un personaggio genuino, schietto e lontano anni luce dalla pessima moda del “doversi vendere” a tutti i costi, ecco che a quella voce vi corrisponderebbe il nominativo del terzino sinistro. Felice, dopo un esordio in “patria”, si divede fra Serie B e C (Jesina, Barletta e Nola) muovendo così i primi passi nel professionismo; in mezzo c’era stata pure una presenza in A con il Verona in un pomeriggio di fine novembre al Manuzzi di Cesena… non era nemmeno maggiorenne. Terzino sinistro, come già scritto, per “istituzione” ma senza disdegnare (in particolar modo ad inizio carriera) il ruolo di esterno a centrocampo. Tanta corsa e assist? Sicuramente niente di trascendentale ma alla lista aggiungerei, non risultando esagerato, pure una discreta media realizzativa, ottenuta grazie ad un tiro potente e alquanto preciso. Arriva a Palermo, in cadetteria, nel 1991 e la stagione ha due facce ben divise e opposte: quella brutale a livello di squadra (i rosanero finiranno in C1) e quella rassicurante di chi riesce ad andare a segno per ben otto volte in campionato.

Gol inutili per la salvezza ma comunque un attestato non di poco conto a riprova che quel calciatore non è uno qualunque. Fra le reti spicca senza dubbio quella inflitta al Messina nel derby tutto siciliano; colpo di testa di Centofanti che ristabilisce la parità dopo il momentaneo vantaggio peloritano… il 2 a 1 di Modica fa esplodere il Barbera. Già, proprio lo stadio dove il terzino disputerà una sola stagione ma che sarà capace di lasciargli ugualmente un ricordo indelebile grazie all’atmosfera e al caloroso pubblico. Con la retrocessione dei rosanero arriva la chiamata di una piccola che sogna in grande: l’Ancona di mister Guerini. L’allenatore è in cerca di rivincite dopo la sfortunata carriera da giocatore, terminata troppo presto (causa incidente) e con una gamba a rischio imputazione, e nel capoluogo marchigiano raccoglie finalmente i frutti di tanti sacrifici. Nel 1992 porta i dorici in Serie A per la prima volta nello loro storia e Centofanti è una delle nuove pedine da inserire nello scacchiere. Il campionato porta in dote un penultimo posto che riconsegna il club alla cadetteria ma il difensore non sfigura affatto e anche qui si renderà protagonista di un evento memorabile. No, sta volta non riguarda un suo gol (anche se nei tre anni marchigiani metterà a referto nove sigilli, considerando i campionati) bensì una rovesciata in un rocambolesco incontro terminato 4 a 4 con il Genoa; il gesto tecnico si stampa sulla traversa ma il pallone finisce nella zona del, non a caso, “Condor” Agostini che scaraventa la sfera dentro, naturalmente con un’altra rovesciata.
Due prodezze (con la seconda andata a buon fine) nella stessa azione per un pareggio definitivo e dall’alto contenuto nostalgico. L’anno dopo c’è la B ma l’allenatore bresciano ha in serbo altri effetti speciali e la gloria si manifesta nella coppa di lega: fuori da ogni pronostico, l’Ancona arriva in finale di Coppa Italia! Assurdo perché la squadra non era di certo fra le candidate, assurdo perché non milita neppure in massima serie… assurdo perché era riuscita a buttar fuori sia il Napoli che il Torino. Nell’ultimo atto ad attenderli c’è sì la Samp di Eriksson ma anche e soprattutto di Gullit, Mancini, Pagliuca, Jugovic, Platt e tutti gli altri. Il Doria ha voglia di dedicare un trofeo allo storico presidente, Paolo Mantovani, scomparso nel corso della stagione ed i buoni propositi vengono altamente rispettati; l’andata ad Ancona termina 0 a 0 ma a Marassi la musica cambia e, tutte nel giro di un secondo tempo, arrivano sei bombe blucerchiate… il gol della bandiera di Lupo serve solo per le statistiche. Centofanti giocò solo la gara dell’andata e nel cuore conservò l’onore di aver partecipato ad un miracolo calcistico, anche se la seconda mancata promozione in A (quella del ’95) fu il giusto pretesto per abbandonare i dorici. C’è una chiamata importante per lui, ovvero quella dell’Inter nuova di zecca targata Moratti.

Per l’imprenditore, figlio del grande Angelo, quella del ’95 fu la prima vera estate di calciomercato a tinte nerazzurre e forse spinto dalla frenesia per il nuovo ruolo non si mostrò di certo con il braccino corto. Comprò tanto e male anche se nella lista degli errori non compariranno logicamente Ince e Roberto Carlos, per niente dei bidoni piuttosto talenti non capiti e scaricati troppo in fretta. Felice arriva alla corte di Moratti per 1,4 miliardi ma, fra l’annata turbolenta e i colpi di “genio” made in Hodgson, la stagione terminò con un deludente settimo posto; l’unica gioia sarà l’aver acquistato l’uomo che diventerà in seguito capitano dell’Inter, oltre che emblema di classe ed eleganza: Javier Zanetti! Centofanti prima soffre la presenza di Roberto Carlos poi, con l’arrivo di Pistone, lo spazio è praticamente nullo. Una sola rete per lui in nerazzurro (contro la Fiorentina) e valigie già pronte per un addio scontato ma che riesce ad ottenere comunque il giusto tributo; quel capellone gambe e grinta era entrato nei cuori dei tifosi come succede a chi compensa le non eccelse doti tecniche con la passione e l’impegno continuo. Quella con la Beneamata rimarrà l’ultima esperienza in massima serie, prima di rituffarsi nei palcoscenici meno prestigiosi… ma non per questo affrontati sottogamba. Sì perché Felice fra Genoa, Ravenna e Padova continua a macinare km e a buttarla dentro con una certa regolarità (nei tre anni in veneto 23 reti porteranno la sua firma), pur comprendendo che i tempi migliori erano già passati. Come lui stesso disse, “se fossi stato professionalmente più “maldiniano” avrei potuto fare grandi cose” ma Centofanti ha sempre preso la vita con la giusta e ponderata leggerezza, senza prendersi mai troppo sul serio.

Ecco spiegati gli ingenti consumi di sigarette fuori dagli allenamenti o il piacere mai frenato di concedersi qualche bicchiere di buon vino… da buon teramano. No signori vi prego, non fraintendetemi, in questo caso non parliamo di una copia alcolica di Paul Gascoigne ma semplicemente di un uomo che sapeva prendersi qualche svago senza andare mai oltre il consentito; un professionista non al cento per cento ma che ugualmente usciva dal campo con la maglia fradicia di sudore. In un certo senso però il binomio Gazza e Felice ha ragione di esistere, infatti il secondo fu da sempre un grande estimatore del primo ma tecnicamente parlano c’è poco da meravigliarsi… provate voi a restare insensibili alle giocate del genio di Gateshead. Altri tempi, altro calcio ed è pienamente coerente e logico se Centofanti poi non abbia più voluto circolare nel mondo della sfera di cuoio. Vestirà i panni sia del direttore sportivo che quello generale, rispettivamente con Ancona e San Marino, ma “più per fare un piacere agli amici che per convinzione”. La sua opinione a riguardo non lascia ombra di dubbio: “Sono cresciuto con i miti di Best e Gascoigne… il calcio dei Cassano o dei Balotelli non fa per me”. E ancora: “Nei piani alti di questo sport girano troppe persone viscide, le gare preferisco al massimo vederle in tv”. Sarà proprio il piccolo schermo a ridargli notorietà grazie a Striscia la Notizia, dove al grido di “Felice Centofanti li sistema tutti quanti” andrà alla ricerca dei vari imbonitori e furbacchioni sparsi lungo lo stivale… sempre accompagnato dall’acconciatura rock, tenuta a bada da una fascetta esteticamente discutibile che gli tagliava la fronte in due.

A 42 anni torna a calcare i campi di calcio con la Sannicolese (terza categoria abruzzese) per quella giusta spolverata di romanticismo ma se il cuore risponde presente, testa e tenuta fisica latitano. Meglio rimanere seduti, in compagnia degli affetti più sinceri, degustando un Cerasuolo o un Montepulciano se vi aggrada maggiormente. Fra un sorso e l’altro gli potrebbero tranquillamente passare davanti diversi ricordi di quel tempo andato; l’esordio in A, le rovesciate marchigiane e magari quella maglia nerazzurra numero nove indossata con naturalezza, come se fosse la cosa più ordinaria del mondo. Suvvia, poco spazio con i tuffi nel passato… c’è un pallone d’oro da coccolarsi! No, tranquilli, non parlo del prestigioso riconoscimento calcistico, piuttosto di un qualcosa dal valore infinitamente più grande: sua figlia Martina. La ragazza, poco più che ventenne, è della ginnastica ritmica una vera e affermata star, avendo fatto incetta di medaglie fra mondiali ed europei. La classe sopraffina magari non gli sarà stata trasmessa dal babbo ma la speranza è che dal genitore abbia ricevuto quella filosofia di vita, sempre terapeutica, del mai prendersi troppo sul serio. Si può essere ricordati pur senza fare niente di clamoroso, si può essere ricordati senza vincere scudetti o Champions, si può essere ricordati per sempre nei cuori di tifosi ed appassionati… sì, si può e Felice Centofanti è la prova vivente.














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