Ante e post Bosman: l'evoluzione del calcio(mercato). di Luca Fazi
- Luca Fazi
- 30 ott 2018
- Tempo di lettura: 6 min

Il mondo è in continua evoluzione e le sue varie trasformazioni nel tempo non hanno certamente lasciato invariato anche il gioco del calcio e tutti i discorsi satelliti ad esso legati, calciomercato in primis. Nell’Ottocento e nei primi anni del Novecento la compravendita dei calciatori era una questione prettamente legata alla distanza geografica; i mezzi di trasporto moderni o non esistevano o dovevano ancora essere perfezionati, quindi gli addetti ai lavori andavano ai campi d’allenamento delle squadre più vicine per cercare di “ingaggiare” un determinato profilo. Con l’eventuale trattativa era sufficiente una stretta di mano (quando i gesti e le parole venivano ancora considerati sacri) per sancire l’accordo e come contropartita venivano proposti il più delle volte viveri o bestiame vario. I protagonisti del rettangolo verde non erano dei professionisti ma dei veri amatori che si dilettavano nel calcio solo per passione e paghi unicamente degli applausi dei tifosi, quest’ultimi sicuramente ben più generosi rispetto a quelli dei nostri tempi. Nessuna retribuzione e quindi nessun status da lavoratore ma in Inghilterra, patria del calcio, alcuni club iniziarono a prendere seriemente l’argomento salariale e furono pionieri di un cambio epocale. Lo Stoke City iniziò a pagare i suoi giocatori ma ben più affascinate fu il modus operandi del Bolton Wanderers che nel 1883 dava due scellini e sei denari ad ognuno dei suoi componenti per ogni vittoria raggiunta ma togliendo a tutti la stessa medesima cifra in caso di sconfitta…una curiosa scelta per spronare i ragazzi al successo. Gli anni venti videro un aumento importante dell’interesse popolare verso questo sport e quindi, come la logica prevede, il giro di soldi intorno al prodotto iniziò a prendere dimensioni imponenti; i calciatori, pur non venendo considerati ancora degli operai, riescono a percepire uno stipendio fisso ma grazie ai posti di lavoro trovati dagli stessi club. Le società iniziano ad interessarsi ai campioni più prestigiosi del momento buttando l’occhio ben più oltre del vicino campo d’allenamento “nemico” e fra i presidenti iniziano dei rapporti epistolari decisamente più sbrigativi di come accadeva in passato. Le trattative venivano curate esclusivamente da personaggi legati alla nobiltà o comunque situati nei gradini più alti della società; quella sfera rotolava ogni benedetta domenica per regalare novanta minuti d’evasione alla gente comune (e non solo) ma il business nudo e crudo ormai era affare degli “altri”. In Italia un cambiamento radicale avvenne con la Carta di Viareggio, il documento redatto da una commissione speciale del CONI nel 1926, la quale dava inizio e vita al professionismo e, nel pieno nazionalismo del fascismo, restringeva fino ad eliminare completamente il numero di stranieri presenti in rosa. Una modifica totale ma alquanto “misera” se confrontata a quelle che arrivarono negli anni cinquanta…la nascita del calciomercato! Non ci sono date ufficiali per far partire un conteggio preciso del nuovo modo di fare e pensare il calcio ma senza ombra di dubbio il tutto va ricondotto alla figura di Raimondo Lanza di Trabia.

Il diplomatico lombardo infatti, diventato presidente del Palermo, sognava di costruire uno squadrone capace di portare i rosanero nei vertici del calcio mondiale; così, grazie ai diversi contatti che aveva nell’ambito sportivo, s’intratteneva all’Hotel Gallia di Milano con dirigenti calcistici e presidenti in cerca di accordi contrattuali per assicurarsi le prestazione di talenti più o meno affermati. La volontà del giocatore non solo era secondaria ma completamente ignorata e quindi la destinazione futura non legava affatto con i desideri del protagonista in questione ma vincolata in tutto e per tutto dalle scelte dei capi amministrativi. Le frontiere, riaperte dopo la fine del secondo conflitto, vennero nuovamente chiuse nel ’66 dopo il disastroso mondiale degli Azzurri che aveva risvegliavo un nuovo, quanto dannoso, sentimento di autarchia. Siamo nel pieno degli anni settanta ed il calcio comincia a preparare il terreno per quel che sarà un periodo d’oro e di “vacche grasse”; sempre più soldi arrivano dai brand più famosi per sponsorizzazioni di ogni tipo ed ottenendo in seguito pure lo spazio sulle magliette dei calciatori, rigorosamente tenute vergini per anni ed anni. Rimangono i cuori dei tifosi che battono all’unisono per quella squadra piuttosto che un’altra ma fuori da quel contesto ogni cosa assume un prezzo, quindi un profitto…quindi sempre meno romanticismo, di quello sano e puro. I migliori prodotti italiani vengono cercati con feroce bramosia dai maggiori club dello stivale e la barriera del miliardo di lire inizia a tremare con il passaggio di Tardelli dal Como alla Juve (950 milioni). Si andrà ben oltre con l’acquisto di Giuseppe Savoldi al Napoli dai felsinei…Mister due miliardi (considerando pure una comproprietà ed un altro cartellino).

Le comproprietà, istituite due decenni prima, e formule varie trovano ora sempre più uno spasmodico utilizzo tanto da portare gli appassionati a dei calcoli assurdi che a confronto, citando il Presidente Borlotti ne “L’allenatore nel pallone”, i tre quarti di Gentile ed i sette ottavi di Collovati erano un nulla…sia chiaro, aggiungendo pure la metà di Mike Bongiorno. I calciatori però, viste le ampie risorse economiche, sono sempre più indaffarati in investimenti extra calcio che spesso e volentieri li portano sul lastrico; niente paura perché in loro “soccorso” arriveranno i procuratori! Nati come dei secondi padri e aventi come capostipite Cor Coster, commerciante di diamanti, suocero di Cruijff e successivamente titolare della completa assistenza contrattuale del futuro numero 14, hanno come scopo principale quello di strappare l’accordo più conveniente per il proprio protetto, ricevendo ovviamente una quota dell’affare. Antonio Caliendo sarà l’italico iniziatore di quel nuovo giro che arriverà fino ai giorni nostri con Mino Raiola, preso spesso di mira da dirigenti e tifosi di qualsiasi fede calcistica. Di queste figure si contesta il guardare troppo al proprio tornaconto personale, rei delle notevoli pressioni fatte sugli assistiti tanto da condizionare l’andamento delle trattative stesse e senza guardare niente e nessuno ma trascurando freddamente la passione dei supporter…quest’ultima vero motore del calcio.

Questo potere, destinato ad invadere sempre più le questioni contrattuali, trovò la strada spianata dopo la sentenza Bosman. Jean-Marc è un centrocampista belga che nel 1990 milita con il Royal Football Club di Liegi e certamente non sarebbe mai passato alla storia per le sue caratteristiche tecniche le quali non l’avevano mai portato più in là di qualche apparizione con la nazionale giovanile del Belgio e di partite disputate nella massima serie. Il contratto con il club sarebbe scaduto a fine stagione e Bosman stava valutando l’opzione di trasferirsi in Francia andando a giocare con il Dunkerque, grazie ad un obbligatorio indennizzo pagato dalla società transalpina…ma il R.F.C. non accettò la proposta e, grazie alle leggi vigenti in quel periodo, mise fuori rosa il calciatore e con notevole riduzione dell’ingaggio. Jean-Marc non restò a guardare e denunciò l’accaduto, dopo i rifiuti della lega belga e della Fifa, alla Corte di giustizia dell’Unione Europea facendo presente che il torto subito violava la libera circolazione dei lavoratori sancita dall’articolo 39 del Trattato di Roma: dopo cinque anni, nel dicembre del 1995, la corte gli diede ragione modificando notevolmente la natura del calciomercato e non solo. Nessuna restrizione sul numero dei calciatori europei in rosa e per quelli a fine contratto la libertà di andarsene a parametro zero potendo accordarsi con un altro club sei mesi prima della scadenza…rivoluzione totale! Quella sentenza però, pur tutelando la volontà dei protagonisti in campo, portò a degli squilibri enormi fra piccole e grandi squadre: le prime cominciarono ad avere l’esigenza di vendere molto prima (e magari a molto meno del futuro valore) i propri tesserati per paura di perderli “gratis” e le seconde, forti del peso economico e del blasone, iniziarono ad acquistare i campioni con meno difficoltà. Non è un caso che certe favole come lo Steaua Bucarest, il Marsiglia o la Stella Rossa sono riuscite in certe imprese solo prima della sentenza Bosman. Il pesce grande lo era anche prima ma dal quel 1995 la forbice si allargò all’inverosimile segnando sempre più un dislivello incolmabile e poco propenso a lasciare lo spazio per sognare alle micro realtà. Con i parametri zero tanti gli affari low-cost che hanno fatto le fortune del club acquirente, vedi Baggio al Bologna, Pirlo e Pogba alla Juve, Campbell all’Arsenal, Cafù al Milan, Lewandowski al Bayern Monaco o Cambiasso all’Inter ma altrettanti furono i flop arrivati come l’indimenticabile rossonero Bogarde che può benissimo issarsi come bandiera dei “bidoni” presi dall’estero…certamente meno dolorosi di quelli pagati anche con il cartellino (e qui l’elenco sarebbe forse maggiore). Questi calciatori giunti in Italia che sono durati (sportivamente parlando) come un gatto in tangenziale hanno tolto tempo e spazio alla crescita dei prodotti nostrani? La sentenza Bosman ha realmente migliorato la situazione generale del calcio? Credo che questi quesiti diano il pass per un ampio bagaglio di risposte dove, molto diplomaticamente, saranno presenti diversi pareri positivi quanto negativi; è chiaro a tutti però che quel verdetto non migliorò affatto le sorti e la vita di Jean-Marc. In attesa delle sentenza definitiva provò a giocare nel campionato del Madagascar prima di tornare in quello belga, grazie all’Olympic Charleroi, senza più ricevere offerte dato che veniva considerato un elemento scomodo. I soldi ricevuti dopo il 1995 furono impiegati per metà nelle spese processuali e per Bosman cominciò il calvario della dipendenza dall’alcol durata più di dieci anni…le violenze ai danni della compagna e alla figlia di questa sono l’amara ciliegina di una torta indigesta da sempre. Un calciatore del tutto trascurabile dal lato tecnico ma che ha riscritto le pagine della giurisprudenza sportiva.













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