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Andrés Escobar: el caballero del futbol

Aggiornamento: 10 lug 2020


-di Luca Fazi- Spesso ci si tuffa nel calcio per trovare quella sana evasione dalle brutalità del mondo; aspiranti calciatori, pressoché bambini, intenti a rifugiarsi in un luogo ancora capace di mettere il gioco al primo posto…come dovrebbe essere in tenera età. Al diavolo stupidi conflitti e guerriglie quotidiane, se nasci e cresci in realtà complicate cerchi in tutti i modi di fuggire dal marcio che ti circonda e almeno mentalmente quella sfera rotolante può diventare la panacea di tutti i mali. Andrés Escobar, nato negli anni sessanta a Medellin, era fra i pochi privilegiati, uno di quei bambini che alle spalle avevano una famiglia presente ed economicamente lontana dalla miseria; niente soldi sporchi o traffici loschi, nella casa dei suoi genitori si respirava aria di solidarietà verso i più bisognosi, adoperandosi spesso e volentieri in opere concrete.


Andrés, terzo da sinistra fra quelli in piedi, con i compagni dello storico Nacional de Medellin

Tutto normale? Dovrebbe ma perdonatemi il condizionale perché se tutto ciò non avviene dove regna la pace, figuratevi nella Colombia anni novanta (e non solo) dove il narcotraffico gira mille volte più veloce di una punizione di Roberto Carlos. Escobar come Andrés, Escobar come Pablo: uno stesso cognome che accomuna due personalità agli antipodi. Da una parte “El Caballero del Futbol”, dall’altra il “Re della Cocaina”, uno che nell’illegalità ci ha costruito un impero. Due rette parallele impossibili, per definizione e costituzione morale, da congiungere ma la morte del boss (dicembre del ’93) in un certo senso mosse l’uccisione del numero due dei Cafeteros. La Colombia di mister Maturana aveva ritrovato i Mondiali nel 1990 dopo ventotto anni di assenza e quei ragazzi, la “generazione d’oro”, sembravano in grado di poter sfidar le più grandi potenze calcistiche del momento. Tutta “colpa” di quel 5 settembre 1993 quando, durante l’ultima giornata delle qualificazioni, la banda di Asprilla e compagni polverizzò l’Argentina con uno 0 a 5 monumentale, come lo stadio del confronto. Buenos Aires osservò la propria Albiceleste capitolare rovinosamente in casa e costretta quindi allo spareggio interzona…i Cafeteros invece vinsero il loro gruppo.


Escobar e Leonel Alvarez: compagni in nazionale e anche di club, oltre che legati da una profonda amicizia

Tutto il mondo sportivo sottolinea l’impresa della squadra e in vista dell’imminente mondiale statunitense resta impossibile non inserirli fra le pretendenti al titolo. Sembra splendere il sole sopra i ragazzi di Maturana, una dolce carezza non abbastanza grande però da confortare pure il paese sudamericano dove nel frattempo nessuna famiglia è esente dai lutti; regolamento di conti o sbagli grossolani il risultato non cambia, ogni ora si perdono vite più o meno innocenti e le vie degli ambienti più malfamati o poveri (quasi sempre le due cose coincidono) si tingono di rosso, come il sangue. Pablo Escobar incontra la morte a fine ’93 e come solitamente avviene alla scomparsa di un “re” parte la spietata corsa al trono con tutti desiderosi di prendersi l’eredità…con le buone (quasi mai) o con le cattive. Il clima instabile non aiuta e la pazienza, sempre poca quando girano interessi forti, può saltare con un niente: basta un errore anche non voluto come un autogol. La Colombia fa il suo esordio ad Usa 94 con i gradi della sorpresa da tenere sottocchio e la prima avversaria non è delle più semplici, ovvero la Romania di Hagi. Nelle strade di Bogotà, Cali, Medellin o Barranquilla ci si ferma per seguire la nazionale con la speranza di trascorrere almeno un paio d’ore in tranquillità e che un successo calcistico possa fermare la mattanza bestiale che da troppo tempo devasta l’intero popolo. I buoni sentimenti però non scendono in campo o meglio non fanno la differenza, quella al contrario dimostrata senza tanti problemi dai romeni che incantano per gioco e cinismo…3 a 1 per loro. Si gioca a calcio e perdere può essere un opzione ma se nel frattempo diversi criminali puntano pesantemente sulla Colombia vincitrice allora no…la sconfitta non è contemplata. La batosta nella prima gara costringe i ragazzi di Maturana a giocarsi già il tutto per tutto con i padroni di casa, gli Usa, in un match da dentro o fuori.


Usa-Colombia: la partita maledetta

L’approccio alla gara? Provate voi a concentrarvi se nell’hotel dove cercate di riposare vi arrivano lettere minatorie e la minaccia più leggera è quella di far fuori vostra madre o vostra figlia. “Questo non deve giocare” o “se usciti sconfitti potete dire addio alle vostre famiglie” sono solo alcuni dei dolcissimi messaggi pervenuti alla receptionist. A Pasadena, in quel giorno di giugno, non è solo il caldo torrido ad aumentare la temperatura; sulla fronte dei colombiani gronda il sudore della paura. L’eliminazione dal Mondiale questa volta potrebbe far rima con l’eliminazione fisica e giocare, si fa per dire, con il terrore non aiuta di certo a far girare le gambe. Ecco perché il cross dalla sinistra di Harkes, non complicato da intercettare e respingere, viene sfortunatamente deviato in rete da Andrés; il difensore rimane a terra e pur avendo ancora più di metà gara a disposizione, capisce che il suo autogol peserà sulle sorti della squadra…e nei giorni seguenti pure sulla sua vita.



La Colombia perde 2 a 1 l’incontro e dopo appena due sfide si ritrova già estromessa matematicamente dalla competizione: l’ultima vittoria con la Svizzera interesserà solo per le statistiche. Il resto è una storia ancora priva di fondamentali particolari e riguardanti una vicenda infinitamente triste. Quel 2 luglio 1994, fuori dal parcheggio di un bar di Medellin, si consumò l’ennesima atrocità nei confronti di un innocente, reo solo di un autogol e d’aver fatto saltare senza volerlo diverse scommesse clandestine. “Gol” o “Grazie per l’autogol” non ha importanza; qualsiasi frase detta prima dei colpi di mitragliatrice suonerebbe ugualmente di morte. Un responsabile o presunto tale, Humberto Munoz Castro, condannato a 43 anni di reclusione poi a 26 ed infine liberato nel 2005 e un mandante, Santiago Gallon Henao, scoperto dopo troppo tempo, non possono che essere l’ulteriore sopruso a carico del povero Escobar, quello leale ed onesto. Andrés sognava di sbarcare in Europa, forse al Milan, per arricchire quella carriera che già diverse soddisfazioni gli aveva dato. “Mamma, ora l’uccideranno” chiedeva impaurito il nipotino del difensore alla propria madre dopo aver visto in tv quel maledetto errore sul campo…la purezza di un bambino che pur essendo ancora tale è già costretto a formulare orribili quanto ordinari ragionamenti. “Se sbagli paghi con la vita”, la legge colombiana non ufficiale recita all’incirca così ma nessuno di quei “pezzi grossi” avrebbe potuto immaginare le 120 mila persone accorse al funerale di Andrés. Un risveglio di massa dopo un sonno disturbato ed obbligato…una risposta più potente di qualsiasi mitragliatrice.

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