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  • Immagine del redattoreLuca Fazi

100 anni Coppi: il volo dell'Airone



- di Luca Fazi - La storia fatta sopra una sella, aggrappandosi a quel telaio di alluminio o carbonio come se fosse l’unica ancora di salvataggio, ha da sempre avuto intorno un’aura eroica e leggendaria. Fotografie immortali riempiono le nostre memorie come pietre miliari di un periodo magari ingiallito dal tempo ma ancora capace di ritrovarsi in tonalità forti ed accese.

Fausto Coppi è sicuramente l’emblema, insieme al suo amico-rivale di sempre Bartali, di quello sport che per lunga parte è stato il principale sfogo emotivo della massa, più o meno istruita. Quella nobile fatica e quel fango sporco che diventa pulito brillante addosso ai talenti sui pedali, riescono ancora oggi ad emozionare ed entusiasmare le piazze. I superlativi per descrivere i campioni si sprecano, figuriamoci per catalogare il fuoriclasse piemontese che venne etichettato già nel soprannome con quel massimo grado di comparazione: il Campionissimo. Non fatevi ingannare dall’albo d’oro dei successi né tantomeno dal nominativo ormai sinonimo di vittoria, perché prima di essere Coppi, quel ragazzo di Castellania, fu un semplice Fausto che tra garzone di una salumeria e macellaio ha dovuto sudarsi la vita… la fatica provata sui giganti montuosi più cattivi d’Europa arrivò in seguito. Le consegne le faceva, ovviamente, con la bicicletta dell’azienda fino a quando poté permettersela una tutta sua grazie ai soldi ricevuti in regalo da uno zio. Quell’adolescente aveva nel Dna già tutto scritto: una capacità polmonare invidiabile, un battito cardiaco di appena 34 pulsazioni al minuto e, tanto per non farsi mancare nulla, madre natura gli donò pure delle lunghe gambe che in corsa lo distinguevano per eleganza e “falcata”.


Uno scatto che non ha bisogno di didascalie

La storica Legnano non si lascia sfuggire il promettente ragazzo, pur avendo nel suo team quel Ginettaccio già trionfatore di Tour e Giro d’Italia; Fausto ha appena vent’anni quando, nel 1940, viene accolto dal pubblico festante dell’Arena di Milano da trionfatore della corsa rosa. Partì come gregario del toscano ma, tra gli incidenti di quest’ultimo e la noncuranza degli avversari, il giovane Coppi si guadagnò terreno, tappa dopo tappa… memorabile l’Abetone e quella fuga accompagnata da pioggia e freddo. Nell’ultimo arrivo c’è pure suo padre ad attenderlo con gli occhi lucidi ed il cuore pieno di gioia ma ha un mancamento quando non vede sbucare il figlio tra gli uomini di classifica; nessun timore, giusto un salto di catena che fece perdere all’Airone appena trentanove secondi e qualche anno di vita al povero genitore. Bartali e Coppi, Coppi e Bartali… da qualunque parte si osservi il binomio, non può che far vibrare i polsi degli appassionati, e non, delle due ruote. Sì perché quei due unirono il paese seppur, perdonatemi l’apparente controsenso, dividendolo: “bartaliani” e “coppiani” furono due non belligeranti fazioni che animarono bar e luoghi d’incontro nell’immediato dopoguerra.

Fausto venne fatto prigioniero dagli inglesi nel ’43 ma dopo due anni ha tutte le intenzioni di riprendere la propria carriera, iniziando da dove aveva finito; il mondo e l’Italia in particolare avevano bisogno di ritrovare quella serenità sotterrata aspramente sotto bombe di distruzione… gli unici colpi desiderati ora erano quelli dati ai pedali. Il conflitto mondiale, dal lato sportivo, influenzò maggiormente la carriera di Bartali (cinque anni più anziano del piemontese) ma quest’ultimo, durante la guerra, ottenne comunque medaglie al valore mille volte più importanti delle vittorie nei grandi giri… che oltretutto non mancarono neanche dopo il ’45.



Coppi dalla sua rivoluzionò il ciclismo non solo per la caratura dei successi conquistati (5 volte il Giro d’Italia, 2 il Tour con la doppietta nel ’49 e ’52) bensì nell’atteggiamento di essere un ciclista; niente più vino e grassi ingeriti senza logica ma spazio a diete, arrivate direttamente dagli Usa, dove dosaggi e orari venivano equilibrati chimicamente. Lo sport dei “forzati della strada” era ancora quello primordiale mentre Coppi inserì da ottimo precursore dinamiche innovative, in seguito sposate dalla totalità. Un ciclismo che ad onore del vero però cominciava già in quegli anni nell’uso, e poi abuso, di sostanze sospette o quantomeno dalla dubbia “legalità”. Quella famigerata “bomba”, miscuglio di caffè ristretti e farmaci vari, risultava sempre più una consuetudine tra i ciclisti e in pochi, come Bartali, si distaccarono completamente da quel sistema poco professionale oltre che eticamente sbagliato. Una cosa è certa: Coppi vinceva per quelle doti innate e l’abnegazione più genuina verso la bicicletta… non di certo per doping.

Passista capace di infliggere immensi distacchi e abile scalatore, quindi una macchina perfetta che ogni volta non poteva che prefiggersi il gradino più alto del podio come unico obiettivo. Solo nei grandi giri? Assolutamente no perché Coppi ha inondato della sua presenza pure gli albi d’oro delle classiche monumento oltre al record dell’ora su pista e molto altro ancora. Un idolo di un’intera generazione… un mito che tuttora trova spazio nei cuori dei giovanissimi. In fondo Fausto è un passato che gode nella contemporaneità dei gradi già attribuitogli dell’immortalità. Più forte degli avversari, più forte degli infortuni e capace di trovare nuovi stimoli persino dopo la tragica morte del fratello (e ciclista come lui) Serse.

Il gossip e le chiacchiere maligne? Lasciamole a chi non ha altro di cui parlare ma anche in questo Fausto, con la vicenda della “Dama Bianca”, è arrivato prima di tutti anticipando i tempi con un grosso distacco finale.


Giulia Occhini (La Dama Bianca) e il Campionissimo

La supremazia del Campionissimo era alcune volte addirittura imbarazzante come in quella Milano-Sanremo, quando il radiocronista Nicolò Carosio non raccontò nient’altro che di uno sfacciato dominio:

Fausto Coppi primo… e in attesa degli altri concorrenti trasmettiamo musica da ballo”.

Era ripartito nel post-guerra quando non aveva più nemmeno una bici sulla quale salire (se non quella pesantissima che possedeva da militare) e solo l’appello giornalistico di Gino Palumbo gli permise di riaverne una adatta alle sue imprese. Cosa poteva fermare un uomo così? Certamente non altri ciclisti, certamente no se il terreno di battaglia avesse riguardato un asfalto che tende a salire con vista sull’infinito.

Allora toccò alla malaria, contratta in una battuta di caccia nell’odierno Burkina Faso, a ricoprire il ruolo di boia impassibile e mettere fine (oltre alla tracotanza e leggerezza di alcuni medici) alla brevissima quanto rigogliosa parentesi terrena del Coppi nazionale. Ad appena quarant’anni, il 2 gennaio del ’60, lasciò questo mondo e due giorni dopo furono in cinquantamila sul Colle di San Biagio a rendergli omaggio durante i funerali… e così la gente continua a fare ad ogni anniversario della sua morte.



Il 25 marzo del 2019 il comune di Castellania ha deciso di aggiungere Coppi alla sua denominazione originale e ciò non può che sottolineare, ancora una volta e semmai ce ne fosse stato bisogno, lo spessore umano e sportivo dell’Airone. Si potrebbe ricordare l’atleta in mille modi, immortalandolo negli svariati successi o magari in quel passaggio di bottiglia con Bartali sul Galibier ma forse le parole più adatte per definirlo appartengono al giornalista Mario Ferretti.


Un uomo solo al comando, la sua maglia è bianco-celeste… il suo nome è Fausto Coppi”.

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