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"Vi racconto il mio Gualdo" Intervista a Davide Tedoldi



- di Luca Fazi - Il Gualdo degli anni novanta è stato certamente una rivelazione per tutto l’ambiente calcistico nazionale. Un Presidente-tifoso generoso, una società competente e il calore di un pubblico mai assente nei momenti cruciali: il mix ideale per dar vita a qualcosa di magico… il mix ideale per trasformare in realtà quei sogni così apparentemente folli. Forse, però, la vera pazzia sarebbe proprio quella di non aspirare sempre a qualcosa di più grande e ciò non appartiene al popolo gualdese.

Il brutto risveglio dopo gli amari playoff del 1995 (con la finalissima persa a Pescara contro l’Avellino) è stato uno di quelli tormentati, tuttavia l’intero staff dell’epoca non si è sottratto dal regalare altre annate di livello, cariche di emozioni e ricordi indelebili.

Uno dei protagonisti biancorossi della seconda parte del decennio è senza dubbio Davide Tedoldi, il centrocampista-goleador che in terra umbra ha messo le basi per la propria carriera. Nato a Milano nel 1975, esordisce tra i professionisti con la casacca della Pro Sesto, prima di sbarcare a Gualdo dove disputerà tre campionati dal 1997 al 2000.

Disponibile ad essere intervistato, felicissimo di parlare dell’avventura in Umbria: una piacevole chiacchierata con Davide Tedoldi.

Caro Davide, non ti nego che ho un po’ di emozione nell’intervistarti; ti vedevo giocare da bambino e poi… eri un mio titolare inamovibile anche nel Gualdo virtuale di Pc Calcio7.

“Ahahah, ti ringrazio ma non mi dire così che mi fai sentir vecchio”.

Andiamo dritti al punto: cosa ti ha portato a scegliere Gualdo in quel lontano, ma non troppo, 1997?

“Beh, ammetto che per certi versi è stato un caso… per altri, ovviamente no. Nel giugno del ’97 giocavamo a Monza la finalissima Pro Sesto-Lecco per la promozione in C1. In tribuna, come osservatori speciali, c’erano pure mister Nicoletti e il ds Crespini ma stavano lì per vedere all’opera il mio compagno di fascia Cristian Brocchi… che volevano acquistare. Lui a sinistra e io a destra, giocammo entrambi molto bene malgrado la sconfitta della squadra.

Cristian sarebbe finito a Gualdo ma aveva già firmato con il Lumezzane e così presero me, che gli avevo comunque fatto un’ottima impressione.

Ho accettato perché la società biancorossa era famosa per la serietà e per valorizzare i giovani, Di Napoli docet. Progetto serio e ambiente tranquillo… non mancavano di certo gli ingredienti per crescere”.

Com’è stato il tuo inserimento in squadra?

“Era praticamente la prima volta fuori di casa, perché fino a quel momento avevo disputato campionati solamente con la Pro Sesto, ma nella nuova dimensione mi sono trovato immediatamente bene. Va detto che sono stato accolto calorosamente sia dallo staff tecnico che dalla tifoseria… e ciò ti permette di lavorare nel modo migliore”.

Subito tra i titolari e stagione da incorniciare con ben 5 reti a referto: merito anche del modulo?

“Sicuramente il 4-4-2 di Nicoletti mi ha permesso di esprimermi anche dal punto di vista offensivo. Con lui gli esterni di centrocampo si facevano il mazzo, corsa continua come pane quotidiano, ma anche grosse opportunità sotto porta.

Il primo anno, come hai giustamente detto, è stato speciale… nonostante il finale amaro. Un gruppo fantastico e fortemente unito. C’erano tante incognite, molte scommesse ed io ero una di queste ma alla fine siamo arrivati a giocarci i playoff. Merito di un gioco collaudato e di un allenatore che sapeva come gestirci…”.

La figurina del Gualdo 1997-1998

Visto che hai parlato dell’allenatore, vorrei chiederti un commento su mister Nicoletti, scomparso lo scorso settembre.

“Il mister era una gran bella persona (le sue parole tradiscono una forte commozione, ndr). A lui devo tantissimo, perché insieme al ds Crespini mi hanno fortemente voluto a Gualdo e hanno creduto in me. Se sono stato prolifico nelle realizzazioni, se ho disputato un campionato di livello lo devo all’allenatore che poi ho rincontrato pure nell’esperienza a San Marino. Sapeva misurare chimicamente bastone e carota; ti riprendeva e al contempo si mostrava come un padre di famiglia. Umanamente, una persona unica”.

La stagione ’97-’98 fu l’ultima che vide il Gualdo capace di lottare per la B: che ricordi hai di quella cavalcata?

“Diversi, ma purtroppo è la parte conclusiva che mi ritorna spesso alla mente… quella maledetta semifinale con la Nocerina. Avevamo fatto l’impresa di recuperare lo svantaggio dell’andata, eravamo ad un passo dalla finale… poi la beffa.

Abbiamo subito gol da un difensore appena entrato e inserito quando si stava sul 2 a 1, quindi buttato nella mischia per proteggere il risultato dei suoi, dato che quel punteggio ci avrebbe mandato a casa. Alla doppietta di Di Venanzio (quindi 3 a 1,ndr), bravo a farsi trovare pronto appena chiamato in causa, sentivamo il passaggio del turno vicino, nonostante le avvertenze del mister…”.

In che senso?

“La sera prima della gara stavamo in ritiro a Gubbio e nella hall dell’albergo ci siamo ritrovati in sette o otto più il mister. Ricordo ancora le sue parole:

“Ragazzi, questa gara si deciderà all’ultimo”.

Chiaramente sono frasi di circostanza, per caricare l’ambiente e allo stesso tempo tenere alta la guardia però alla fine la sua lettura si rivelò perfetta. Non era facile ribaltare l’iniziale svantaggio ma ci credevamo; riuscirci negli ultimi minuti per poi riandare sotto nel punteggio complessivo fu, sportivamente parlando, un dramma”.


Ti sei mai chiesto come sarebbe andata a finire se foste passati in finale?

“Avremmo ottenuto la B! Non ho dubbi pur comprendendo che con i “se” è inutile parlare. La finale sarebbe stata tutta umbra contro una Ternana ben più attrezzata di noi, ma mentalmente e fisicamente stavamo bene. Un passaggio del turno rocambolesco con la Nocerina ci avrebbe consegnato nuova linfa per affrontare l’ultimo atto”.

Un campionato disputato anche contro un avversario invisibile e alquanto infame… il terremoto.

“Purtroppo le scosse hanno esordito ad inizio stagione e si sono ripresentate verso la fine… una vera angoscia e una compagnia non gradita.

Ricordo la partita di aprile, giocata in casa contro l’Ascoli e ti giuro che ho ancora nella testa il boato delle gradinate dietro di me. In quel momento stavo in panchina e pensavo alle persone sugli spalti e a quelle all’interno delle proprie abitazioni. Sono delle immagini che ti porti dentro e la sconfitta sul campo non poteva che passare in secondo piano”.


Si è parlato del tuo rapporto con il mister, non ti posso non chiedere quello nei confronti del presidente Barberini.

“Gualdo gli deve tanto. Non solo per i risultati raggiunti ma per l’attaccamento ai colori che onestamente pochi presidenti hanno in quella misura. La serietà della società passa dal suo operato e a noi giocatori non ha fatto mai mancare nulla.

L’ultima stagione a Gualdo, 1999-2000, è stata difficile per tutti e qualche screzio anche con la dirigenza c’è stato ma sempre per via di un amore smisurato che provava per la squadra”.

L’ultima stagione è stata per te la più difficile?

“E’ l’unica di quelle passate a Gualdo sulla quale metterei una bella croce sopra. Il grave infortunio ha compromesso tutto il lavoro e poi la retrocessione in C2 è stata pesante da digerire. Ad Andria si è bloccato un percorso”.

Qual è stato il gol più bello segnato con la maglia biancorossa? Quello ad Ascoli nella prima stagione?

“Oddio, forse hai ragione. Raccolgo il suggerimento da un mio compagno e lascio partire un destro dalla distanza che non perdona il portiere bianconero. Quello oppure il gol in casa alla Lodigiani. Vivevamo di entusiasmo e questo veniva riportato poi nella gara domenicale”.


Cosa porti nel cuore di Gualdo?

“Tutto! Non è per essere esagerati ma veramente tutto. E’ una di quelle piazze che ti entrano dentro e non puoi scordare. Gualdo mi ha fatto crescere come calciatore e uomo. Potessi tornare indietro rifarei tutto. Ho ancora diversi contatti con alcuni abitanti e ci torno volentieri spesse volte, l’ultima proprio l’anno scorso.

Ricordo ancora con affetto il rapporto con i tifosi che incontravo in piazza. Confronti sempre costruttivi che non oltrepassavano mai la maleducazione. Ambiente sano dove non subisci le pressioni e si vive bene. E poi ancora le mangiate al ristorante Gigiotto… tanti bei momenti indelebili”.

Davide, poi sei passato al Treviso in B, in un campionato che vent’anni fa era molto diverso. Cosa è cambiato rispetto ad oggi?

“Sì, ho avuto la possibilità di giocare in B e di ritornarci poi con altre divise, anche se personalmente ritengo che sia più importante essere al centro di un progetto e ricevere la stima di chi hai intorno… la categoria conta ma non è la cosa primaria. Mi è capitato infatti di preferire anni magari in C1 da protagonista che restare in cadetteria per far numero o poco più. Cos’è cambiato rispetto a prima? Sicuramente un discorso va affrontato dalla parte tecnica, perché è innegabile quando si sia impoverito il calcio in questo senso.

La B e la C1 di un tempo erano campionati pieni di ottimi giocatori, sia futuri talenti momentaneamente parcheggiati per farli crescere, sia di vecchie glorie capaci ancora di far la differenza. Giravano molti più soldi, quindi anche il big avanti con l’età accettava di scendere nella categoria inferiore, sicuro allo stesso tempo di trovarsi in un buon livello”.

Tedoldi al Treviso: figurina Panini 2000-2001

Qual è stato il giocatore più forte con cui hai giocato?

“Ho avuto la fortuna di incontrarli diversi e mi resta complicato sceglierne uno. Ti nomino Minotti, Fausto Pizzi e Tommaso Rocchi.

Poi, incrociato ai tempi della Samb, dico Luca Cigarini. Era giovanissimo ma impressionava per le sue qualità, come la visione di gioco. Non è un caso che poi sia finito ad altissimi livelli”.

Tra le maglie blasonate che hai indossato c’è quella storica della Pro Vercelli. In quel periodo condividevi lo spogliatoio con il veterano Massimo Carrera e il giovanissimo Gianluca Lapadula: che ricordi hai di loro?

“Parto dal primo… Massimo era un vero animale nell’accezione più genuina. A 44 anni era ancora il primo ad arrivare all’allenamento e l’ultimo ad andarsene. Si faceva tutti i giorni, e sottolineo tutti i giorni, Bergamo-Vercelli per allenarsi. Un marziano, un extraterrestre. Ecco, lì ho capito perché un calciatore può arrivare ad altissimi livelli ed altri no. I piedi buoni che ricevi in dono contano ma se non hai convinzioni mentali duri poco. Lui era un leader, sempre con la parola giusta e mai fuori posto… vera ispirazione.

Gianluca il classico giocatore che in allenamento prendeva una marea di botte perché non lo prendevi. Si capiva che avrebbe fatto strada. Quando penso a lui mi viene in mente gente come Borriello. Anche Marco l’ho incontrato quando era giovanissimo, a Treviso, e come Lapadula appartiene alle categoria di quelli che subito si differenziano dalla massa”.

Qualche rimpianto quando hai appeso i ben noti scarpini al chiodo?

“Sai, credo che ognuno raccolga ciò che ha seminato. Si può fare sempre meglio, certo, ma non ha molto senso rimuginare. Quando ho smesso è stato perché non sentivo più mio l’ambiente calcio. Mi allenavo ancora con la testa da professionista ma magari dovevo condividere il campo con dei compagni che affrontavano tutto con superficialità.

Non sono della generazione smartphone e cuffie nel prepartita… non appartengo a quelli che vivono come se nulla fosse una sconfitta. Ho sempre dato tutto, ma il calcio è uno sport di squadra e quando non si rema tutti verso la stessa direzione viene vanificato l’intero lavoro. La presunzione e l’io dovrebbero essere sempre bannati nella vita così come nel calcio”.

Tedoldi oggi

Cosa si augura Davide Tedoldi per il suo futuro calcistico?

“Chiaramente ho deciso di allenare e quindi mi piacerebbe togliermi delle soddisfazioni. Ho cominciato con gli adulti ma ad un certo punto sentivo l’esigenza di staccarmi dall’ambiente. Ho fatto il talent scout per l’Udinese nella zona Marche ed Emilia Romagna, per poi tornare ad allenare ma i ragazzini, esordienti e giovanissimi.

Con loro c’è la soddisfazione di vederli crescere ed educarli con la mentalità giusta, senza che siano viziati da falsi miti, tuttavia sono sincero e non ti nego che ora cominciano a mancarmi le partite vere dei grandi… l’adrenalina della domenica. Cosa sogno? Spero di far carriera e perché no, magari di allenare un giorno anche il Gualdo. Sarebbe un onore”.

Grazie mille Davide per la disponibilità.

“Grazie a te, ai lettori di In Barba Al Palo, a tutti i gualdesi e amanti del calcio. Sempre Forza Gualdo!”.






*Il sottoscritto resta a disposizione degli eventuali aventi diritto di cui non sia stata citata nelle foto la fonte

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