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  • Immagine del redattoreLuca Fazi

Tra clonazioni, "come Di Biagio" e il dopo Ferragosto puttana

Aggiornamento: 27 ago 2021




- di Luca Fazi - È un pomeriggio di inizio luglio. Fa un caldo afoso e fin qui nulla di nuovo. Mi trovo a casa di un amichetto e insieme a noi ce n’è un altro, quasi coetaneo; siamo tutti compagni dello stesso gruppo e anche qui, come sopra, nulla di nuovo. Seduti sul divano, rinfrescati dalla bevanda che gentilmente ci viene offerta dalla mamma del padrone di casa, fissiamo con gli occhi sgranati le immagini filtrate dal tubo catodico. Di per sé, anch’esso, rientrerebbe nella consuetudine ma la novità riguarda proprio il contenuto cui assistiamo; niente cartoni animati, né vecchie puntate invernali di Solletico, bensì undici uomini che si battono contro quelli che, sulla carta, vengono ribattezzati come cugini ma che, in sostanza, non hanno nulla di familiare. A dirla tutta ci stanno anche un po’ sulle palle, tuttavia la nostra è un’avversione dettata più dal “sentito dire” e non ha – ancora – motivazioni ben precise. Abbiamo età piuttosto simili (che variano dai quasi otto ai dieci) ed ognuno di noi ha già seguito una partita di calcio in tv, tifando la propria squadra del cuore con l’amore che si plasma proprio in quegli anni, ma stavolta è diverso. C’è un “club” un po’ particolare che ci sembra nato proprio in quell’estate e che ci unisce sotto un unico colore, o per meglio dire tricolore. È il 3 luglio, fa un caldo afoso, sta giocando Italia-Francia e quello è il nostro primo Mondiale.


L'undici iniziale del match contro la Francia

Come abbiamo visto fare dai grandi, appoggiamo una mano sul petto – rigorosamente dalla parte del cuore – non appena sentiamo le prime note di quell’inno già udito dalle nostre orecchie.

“Mameli? Boh, sarà stato un ex attaccante dell’Italia”.

Non conosciamo nulla di tattiche, né di schemi spacciati come assiomi e il sottoscritto, ad onor del vero, ha ancora discreti dubbi sul fuorigioco: ma ‘sti cazzi! Non sappiamo nulla, eppure seguiamo l’incontro con quell’agitazione che lo stomaco conosce bene e che da lì in poi sarà una presenza costante. Sempre i grandi, osservati come delle istituzioni, la chiamano passione e noi – una volta cresciuti – la identificheremo nella stessa maniera, ma spiegarla a parole resterà complicato. Forse sarebbe più opportuno delinearla attraverso quegli pseudo squat che ti portano ad andare su e giù dal divano quando attaccano i tuoi beniamini e ti sei sudato anche le rinomate sette camicie. O magari, sempre a scopo esplicativo, basterebbe immortalare i volti sfigurati dalla tensione che colpisce chi, questo sport, non l’ha mai considerato un semplice sport.

Nel caldo afoso pomeriggio di luglio, tuttavia, avevamo altro cui pensare. Non potevamo esternare live le nostre emozioni attraverso una piattaforma social (e l’idea di farlo non ci avrebbe neanche sfiorato). Non dovevamo condividere le immagini del tavolino imbandito di patatine, salatini e bevande da “uomini” duri (la Coca-Cola era per il bimbo che non deve chiedere mai, semi-cit) inseguendo le ignobili ricerche dell’hashtag perfetto. Vivevamo appieno quel momento, allietandolo con considerazioni degne di nota:

“Dai che fa gol Vieri… è una bestia… m’hanno detto che nel campionato dove gioca ha segnato…” e prontamente partiva un numero talmente esagerato che neanche i ben più contemporanei Leo e Cr7, uniti nella loro stagione più prolifica, avrebbero coperto.

Si chiacchiera molto anche perché di gol non se ne vedono. Arriva dunque la conclusione dei tempi regolamentari e, senza indugiare, si fila dritti verso le proprie case chiedendo ai rispettivi genitori di potersi fermare fino alla fine, allungando perciò il rientro concordato in precedenza. Di quanto non è dato saperlo, anche perché il telecronista parla di un certo golden gol che fa il proprio esordio in un Mondiale. A primo impatto sembra complicato ma poi, lungo il tragitto, sento dialogare due adulti che involontariamente mi schiariscono le idee:

Que vole di’? Dio (riempite voi lo spazio con un animale a vostro piacimento – purtroppo la bestemmia, in certe zone d’Italia, è una sorta di must have abbinabile con ogni categoria, reparto zoologico in primis) è semplice… chi segna per primo vince e l’altro se la pia in c**o”.


Per il golden gol di Roby è mancato "tanto così"

Bene, con i dubbi svaniti sono pronto per divulgare agli altri il concetto, neanche fosse uno dei segreti di Fátima, magari rimuovendo qualche parola colorita. Riprende la gara e per i successivi trenta minuti si mantiene la parità. Dunque tiri dal dischetto e altra corsa verso casa per avvisare i genitori, ma stavolta veniamo bloccati saggiamente dal padre di chi ci ospita:

“Non ve conviene, tanto a breve ricominciano e poi manca poco”.

Ci spostiamo in cucina, sempre incollati alla televisione, in attesa di vivere una delle emozioni più forti fino a lì mai provate… e in un certo senso andò così. Calcoli matematici, il discorso dell’oltranza (“… che è ‘sta roba?”), congetture date dall’esperienza (… ma quale, che siamo nati l’altro ieri?!) su quale sia il sorteggio migliore se tirando per primi o per secondi ecc: tutto si infrange violentemente sulla traversa.

Il rumore del “legno” suona di sentenza: è finita. Ci guardiamo, qualcuno spera che la lotteria non sia ancora conclusa ma sono vane speranze. Una testa calva che festeggia – quella di Barthez – mentre un’altra è a terra, disperata, e il proprietario si passa le mani tra i capelli… si fa per dire. Ecco, quello è il momento. L’istante esatto della prima delusione sportiva che creerà una sorta di mantra, una formula niente affatto magica, ripetuta per tre o quattro estati di fila e forse anche di più. Non esisterà mai più una traversa colpita da “uno di noi”, senza che al rumore di questa ne consegua l’iconica espressione, con annesso sorrisino:

Come Di Biagio!”.



Tre semplici parole per esorcizzare, prima, e menzionare ad perpetuam rei memoriam poi, con una punta neanche troppo velata di masochismo, il fattaccio di quel caldo ed afoso pomeriggio di inizio luglio. Pazienza, del resto eravamo soltanto ai primi giorni di vacanza e quei due mesi abbandonanti che ci separavano dal rientro tra i banchi sembravano un’eternità (e difatti lo erano). Al diavolo i Mondiali e tutte le traverse del mondo!

A quell’età qualsiasi cosa viaggia a velocità supersoniche grazie alla fantasia, la stessa che ti fa vedere un giardinetto come un enorme parco divertimenti, degli alberi come nascondigli all’interno dei quali confidarsi i discorsi più intimi ed un pallone malridotto che diventa il protagonista di mille avventure (quando si bucherà o non sarà più utile alla causa, lo congederai con dispiacere). I tradizionali giochi di gruppo, con il sempreverde nascondino, si mescoleranno in un modo più o meno armonioso con console portatili dal fascino indiscusso (avete detto Game Boy?).


I Ciottolosi: non fate finta di non ricordarli

Le ore più calde, quelle universalmente riconosciute dal C.U.M.I.P (Comitato Unico Mamme Italiane Premurose) ad alto rischio per la salute e rientranti nella fascia “mettiti il cappellino”, erano riempite da estenuanti sfide di Pokemon e scambi illeciti degli stessi a seguito di primordiali operazioni di marketing (“… oh, guarda che questo è forte) e clonazioni senza alcun ritegno… del resto siamo “figli” della pecora Dolly.


C'è chi ricorda questa grafica e chi mente

Le estati passavano così, tra le ginocchia sbucciate e le nuove acrobazie messe a punto con gli yo-yo luminosi (“Guarda che m’ha imparato a fa’ n’amico de scola”). Tra un giro con lo skateboard e il Ciottoloso trovato nel pacchetto delle merendine, tutto aveva il sapore della libertà mescolato a quello della Big Babol.

Con la fine di luglio la musica cambiava, a differenza della nuova hit degli 883 che continuava a rimbombarci in testa. Gli affollati triangolari di calcetto facevano largo a modeste partite 3vs3 per poi concludersi in “tedesche” ed infine – ultima agonia – il campo a campo.

“Ma Tizio?”.

“No, oggi studia”.

“E Caio?”.

“È andato al mare con i suoi… torna tra dieci giorni”.

Così non restava che reindirizzare le abitudini e tornare con lo sguardo a quello zaino abbandonato da troppo tempo; c’è un Topo Bi da aprire (“... che c***o c’avrà da ride ‘sto sorce) e un diario con una lista di compiti talmente lunga che ad inizio giugno non ti sembrava così vasta.


Un "compagno" di varie estati

Staresti per preparare la mente alla concentrazione più assoluta, quando puntuali arrivano i suoni di alcuni rimbalzi, delle risate plateali e di un citofono pigiato senza sosta, a mo’ di motivetto da stadio (bi bi bibibi bibibibi bibi), per la gioia dei tuoi che erano andati a farsi un riposino:

Ok, due minuti e scendo”.

Chiudi in fretta e furia il diario, mentre per le scale saluti tua madre promettendole che gli esercizi di matematica li svolgerai quanto prima… promesse da marinaio. Cerchi di goderti ogni istante ma ormai la sabbia della clessidra ha quasi concluso il suo scorrere impetuoso e sai che il tempo custodisce il coltello dalla parte del manico.

Il dopo Ferragosto puttana.

È finita, o quasi. A ribadire il concetto ci pensano persino le condizioni meteorologiche – prima che i recenti e drastici cambiamenti climatici alterassero il naturale corso – con temperature che non sono più le stesse. Il giorno 15, infatti, si mostrava simile ad una linea di confine, probabilmente più mentale ma anche effettiva. Addio alle sfacciate t-shirt perché, soprattutto la sera, “ lo senti ‘sto freschino?”. Ricomparivano dunque i giacchetti acetati delle tute, mentre la parte inferiore del corpo resisteva eroica al pantaloncino corto, mettendo in bella mostra i muscoli che non avevamo e la folta peluria che qualcuno iniziava ad avere. Se le mattinate ed i pomeriggi tenevano botta, i dopocena odoravano già delle prime essenze autunnali.

Gli anziani, che ci guardavano incuriositi cercando di carpire ogni informazione genealogica (“…ma tu di chi sae el fio?”), sistemati fino a qualche giorno prima come pedine lungo l’ampio marciapiede che ci divideva dal campetto, iniziavano a disertare l’appuntamento con gli altri coevi: la scacchiera perdeva dei pezzi.


Alcuni di questi, in barba ai primi venticelli fastidiosi, rispondevano con maglioni impenetrabili e pesanti calzettoni, prima di deporre le armi ed arrendersi in via definitiva. Noi stessi, giovani e incuranti dei malanni, dimezzavamo le chiacchierate sulle panchine, tipiche dei post-partita:

Via, m’arvò che sennò me se asciuga il sudore”.

Il dopo Ferragosto ti lasciava in bocca un sapore malinconico, come la sensazione di una magia spezzata o di una poesia interrotta alla quale non avresti mai voluto mettere un punto. La fetta di cocomero, ingurgitata prima di andare a letto e che ti aveva dissetato per settimane, non tira più. A ridersela rimane quel topastro, disegnato in copertina, che con il passare dei giorni ha un sorriso sempre più sadico e ti ricorda l’imminente inizio della scuola. I citofoni suonano di meno e rispondendo non troverai più l’amico con il pallone stretto tra le braccia, bensì un parente, un ambulante, il postino, il vicino che ti chiede un favore, un venditore di frigoriferi per il Polo Nord e magari anche un terrorista... tutti fuorché uno del tuo gruppo.

Ti appaiono già lontanissimi quei giorni spensierati. Le tonalità della Strega comanda colore sono sbiadite.


"Sono la Strega comanda colore e voglio il colore..."

Le chiacchierate con la ragazzina del giro, per la quale sbavi (e continuerai a farlo, senza riuscire mai a tirar fuori uno straccio di dichiarazione), non sono più riscaldate dal tepore di una stagione che muove tutto, sentimenti compresi, più rapidamente. Agli sgoccioli d’agosto, gli stessi gavettoni – emblema giovanile dell’allegria estiva per eccellenza – risultano uno sport estremo, solo per impavidi.

Come Di Biagio” ti ripetono e “come Di Biagio” ripeterai a chiunque colpisca quel palo orizzontale, ma intanto scorrono le giornate similmente a dei film cui partecipi, fai parte del cast, ed ogni volta con ruoli diversi. Alcune sequenze passeranno senza lasciar traccia, altre le rinverdirai anni dopo, condividendole con uno del giro, ed infine altre ancora ti torneranno alla mente quando credevi di averle lasciate in un cassetto, a te sconosciuto e apparentemente inaccessibile, del personale dimenticatoio. Forse ti capiterà tra le mani una foto di quel periodo, una di quelle che non pensavi neanche vi avessero scattato. Hai il viso imbronciato a causa dell’adulto di turno che, puntandovi una Polaroid, vi aveva invitato a mettervi in posa interrompendo il gioco: a distanza di tempo lo ringrazierai per il cimelio incommensurabile.

Suona la campanella… la ricreazione è finita.

Intorno a te hai visi familiari ed altri mai visti. Non faticherai poi molto a calarti nella nuova parte, cimentandoti in copioni che spaziano dalla professoressa al catechista, dal mister al maestro di qualche strumento. Eppure, conservata in uno scomparto dell’astuccio, utilizzata come segnalibro, tra le tasche dello zaino o magari tra le pieghe del maglione che indossi, ci sarà sempre lei. È la voglia di tornare con la testa a quei momenti, in attesa di vivere la prossima estate. Potrebbe essere l’ultima del vostro gruppetto o forse ce ne sarà un’altra e chissà quante ancora... ma tu, adesso, non ci pensi.

Perché poi, in fin dei conti, quei momenti speciali rimangono tali anche – e soprattutto – quando non li puoi più vivere.

Perché poi, in fin dei conti, ciò che è riportato sulla tua carta d’identità non sarà mai un parere, così come non lo saranno i Mondiali che nel frattempo ti sono passati davanti simili a dei metronomi, tuttavia quel che senti dentro rimarrà indelebile ed immutabile.

Perché poi, in fin dei conti, se ti capiterà di vedere dei bambini che giocano sugli stessi “tuoi” spazi”… beh, non potrai rimanere indifferente.

Perché poi, in fin dei conti, se ti arrivasse per caso il pallone tra i piedi tu – sì tu! – lo calceresti.

Sarebbe un tiro colmo di passione, la stessa che avverti da anni ma che ancora non hai ben capito come spiegarla agli altri. La conclusione potrebbe andare a buon fine o mancare del tutto la porta: fa parte del gioco, fa parte della vita. Oppure potrebbe colpire quel palo orizzontale che respinge la sfera. Sì, insomma, “come Di Biagio”. Sta a te vederci un fallimento oppure l’occasione buona per una ribattuta e provarci ancora.


A chi vive di passioni, anche se non sa ancora spiegarle



*** SPOILER *** - Consigli per gli allenatori di Pokemon... se è porno, tolgo.



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