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Savicevic: il Genio part-time! di Luca Fazi

  • Immagine del redattore: Luca Fazi
    Luca Fazi
  • 15 set 2018
  • Tempo di lettura: 6 min

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Dejan in rossonero con la sua 10

Il vecchio adagio recitava “sei stati, cinque nazioni, quattro lingue, tre religioni, due alfabeti ed un solo Tito”: un motto propagandistico quanto evocativo per evidenziare la reale situazione presente nella “terra degli slavi del sud”, dove da sempre convivevano etnie, mentalità, usi e costumi assai diversi fra loro. Come con una pietanza da servire, ogni “chef” a suo modo deve trovare il giusto mix fra ciò che ha a disposizione, portando in tavola la corretta armonia di dosi e sapori ed il tutto con una precisione chimica. Il problema sorge quanto il piatto che viene richiesto deve aver per forza al suo interno ingredienti diametralmente opposti tanto da rendere impossibile il creare un prodotto finito dal gusto prelibato e genuino. L’ex Jugoslavia assomigliava ad uno scenario simile dove il “ristorante politico” aveva nel menù quotidiano delle portate fortemente incoerenti e dai sapori fin troppo contrastanti…causando sempre più un malcontento generale fra i clienti/abitanti. In questo puzzle così frammentato e confuso (ed unito da un qualcosa che a breve non avrebbe retto più) non mancavano però delle vere e proprie eccellenze, prodotte quasi a chilometro zero, che davano lustro all’intero sistema: la specialità della casa si chiama Dejan Savicevic! E’ il 1966 quando il futuro talento calcistico viene alla luce in quel di Titograd, nome dato per omaggiare il maresciallo Tito e dal 1946 capitale della Repubblica Socialista del Montenegro. Dejan sin da piccolo mostra un attaccamento incredibile a quella sfera di cuoio quasi sconfinando nella morbosità; infatti il pallone non lo molla mai, come fosse il più stretto degli amici, cimentandosi in continui gesti tecnici ripetuti fino allo sfinimento. In un gioco di squadra come il calcio l’egoismo non trova facilmente spazio ma per la classe pura ci sono grattacieli interi da poter riempire. A 16 anni entra nella prima squadra del Buducnost, la società della sua città, dove trascorrerà sei campionati prima di trasferirsi a Belgrado…c’è la Stella Rossa ad attenderlo! Siamo nel 1988 e in quel periodo il vertice del calcio europeo sembra essersi spostato proprio verso la Jugoslavia che genera, raccoglie ed infine mostra i suoi migliori talenti al mondo. Savicevic come Prosinecki, Mihajlovic come Stojkovic…tanti i fuoriclasse balcanici che convergono nella Zvezda di quegli anni, desiderosa di affermarsi dove mai nessuna slava era arrivata prima, conquistando quella coppa dalle “grandi orecchie” che avrebbe certificato come non mai il valore di quella terra. Dejan è uno slavo semplice, parafrasando il gergo social, alterna grandi giocate a prestazione cupe quasi spocchiose e poco utili alla causa, solo che le prime non sono rare e quando decide di fare ciò che sa fare non c’è n’è per nessuno; con il sinistro scrive opere d’arte e quando sembra stia perdendo l’equilibrio eccolo ritornare in superficie e sbarazzarsi dell’avversario con dei colpi sconosciuti ai più.


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Il finale di carriera con la maglia del Rapid Vienna

Il Vojvodina gli toglierà lo sfizio di vincere all’esordio nei confini (sempre meno accettati) nazionali poi sarà monologo dei biancorossi di Belgrado. Ora però c’è da prendere per le maniglie quella santissima coppa e già nella stagione ’88-’89 si avrà il primo assaggio di ciò che verrà in seguito. L’unico problema è che nello stesso lasso di tempo c’è un’altra squadra che deve cominciare a scrivere pagine importanti, capitanata da un “Kaiser” e pronta a tutto pur di non mollare, persino a fare la danza della “nebbia”: è il Milan di Arrigo Sacchi! Le due compagini si affrontano agli ottavi di quella edizione e gli slavi sin da subito mettono le cose in chiaro bloccando a San Siro sull’ 1-1 la banda rossonera. In quella serata Stojkovic si fa beffa quasi in contemporanea della coppia Tassotti-Baresi (non propriamente gli ultimi arrivati) prima di depositare il pallone in rete; immediato il pareggio con il sardo Virdis ma a fine partita è chiaro a tutti che servirà una vera e propria impresa per accedere al turno successivo. L’inferno del Marakana è pronto ad accogliere il match di ritorno ma quel 9 novembre 1988 sarà ciò che non ti aspetti a fare la differenza: scende una nebbia impressionante che porta il direttore di gara a sospendere l’incontro. La scelta arriva al minuto 57, con i rossoneri sotto per il goal (in fuorigioco ma vedere con nitidezza le azioni era impossibile) proprio di Dejan e soprattutto in 10 vista l’espulsione esagerata di Virdis. Le regole prevedono la ripetizione dal primo minuto e con il punteggio fissato sullo 0-0…un’occasione più unica che rara per il club italiano che ricarica le pile, soprattutto mentali, in vista della replica del giorno seguente. Ora circola maggiore ottimismo in casa Milan che trova subito il vantaggio con Van Basten grazie all’assist al bacio di “Bubu” Evani; il freddo e l’immediato pareggio di Stojkovic (su spunto di Savicevic) questa volta non spaventano più di tanto e si arriva ai calci di rigore con uno stato d’animo diverso. Fuori dal campo arrivano buone notizie sulle condizioni di Donadoni, svenuto ed uscito dopo uno scontro al limite del consentito con Vasiljevic (il dottore Monti dovrà spaccargli la mandibola per tirargli fuori la lingua e quindi farlo respirare) e dagli undici metri saranno i padroni di casa a capitolare, per colpa anche dell’errore di Dejan. Il Milan andrà a conquistarsi quella coppa ma la squadra di Belgrado è ben conscia del suo potenziale e non molla l’idea di vincere nell’Europa che conta. Due anni dopo arriva la finale di champions con un Savicevic che nel frattempo diventa sempre più “Genio” invece del semplice e puro illusionista. Dall’altra parte ci sono i francesi dell’O.M., guidati dal vulcanico presidente Bernard Tapie che sogna una squadra di talenti e non a caso strappa Stojkovic alla Zvezda. La location della finale è il San Nicola di Bari riempito da ben 20mila tifosi slavi che non hanno intenzione di tornare a casa a mani vuote ma spingono come non mai il proprio club. La partita, tipico delle finali, è di una bruttezza devastante dove a comandare è solo la paura di non prenderle…i rigori, ancora, sono l’inevitabile epilogo. I cinque tiratori biancorossi saranno dei cecchini infallibili e questa volta Dejan e compagni riescono a trasformare in realtà ciò che per tanto tempo hanno potuto solo sognare.


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La Zvezda campione d'Europa nel 1991

Il Genio, fra una supercoppa europea persa ma giocata divinamente ed una finale intercontinentale alzata nonostante la sua espulsione, vince tutto ciò che era possibile (e forse impensabile) conquistare ma comprende benissimo la poca stabilità politica del suo paese dove i talenti vengono venduti con la stessa triste rapidità usata per buttar giù palazzi e grattacieli. L’Italia è il miglior posto dove fare calcio e sembra tutto fatto affinché Dejan arrivi alla corte della Vecchia Signora ma nella carriera del numero 10 ritorna prepotentemente il Milan. Il presidente Berlusconi vede nella prima pagina del Guerin Sportivo un fotomontaggio di Savicevic con la maglia bianconera e senza pensarci troppo chiama l’a.d. Galliani; “non possiamo farlo andare lì” dirà senza giri di parole ed ecco che il buon Adriano partirà in direzione Belgrado andando a prenderlo per “soli” 10 miliardi. Ora i rossoneri hanno finalmente quel fantasista tanto desiderato dal patron del Milan, peccato solo che sulla panchina siede Fabio Capello, un vincente nato ma poco propenso a cambiamenti tattici lontani dal suo credo…ed il suo 4-4-2 è uno dei più rigidi. Nei primi anni novanta non ci sono programmi sportivi h24 e nemmeno social, smartphone capaci di farti vedere fino alla nausea un nuovo profilo appena arrivato, così i tifosi accorrono in massa ad osservare da vicino il primo allenamento del nuovo Diavolo ’92-’93. La prima seduta prevede una partitella fra squadra A e quella delle riserve dove verrà inserito il Genio ma basteranno 30 minuti per mettere le cose in chiaro.


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La copertina di "Forza Milan" celebrativa per il Genio

Il talento fa quello che vuole con il sinistro ed il pallone viene accarezzato da tocchi poetici che solo i grandi hanno in dote: Baresi e Maldini quel giorno furono umiliati un paio di volte a testa. L’entusiasmo dei tifosi era incontenibile eppure il primo anno non andò come i primi segnali suggerivano. Dejan non lega con Capello, stufo di vederlo ad intermittenza, e neanche a qualche senatore dell’organico convince più di tanto. Dopo l’Intercontinentale persa nel ’93 contro il San Paolo di Cafù, Cerezo e Leonardo, il giornalista Gianni Piva scrisse su Repubblica che “Savicevic era niente di più che un raccomandato”. Quella finale non fu nemmeno giocata dal Genio ma venne usata per scaricare sullo slavo tutti i malumori dello spogliatoio. Forse in quel periodo solo Berlusconi gli mostrò affetto e considerazione tali da non farlo partire dopo appena una stagione…mossa azzeccata visto ciò che farà nel secondo atto. Fra problemi fisici e partite anonime non arriverà neppure una rete in campionato ma il suo timbro nella finale Champions del ’94 resta uno di quelli indelebili ed immortali. L’avversario è il “Dream Team” del Barcellona che vede in panchina un mostro sacro come Johan Cruijff mai così sicuro di vincere quella partita. I suoi fenomeni in squadra gli consentono di dormire sogni tranquilli tanto da farsi fotografare già con la coppa, gesto alquanto inusuale considerando la grande scaramanzia che regna anche nel calcio. Ai vari Romario, Koeman e Stoichkov si aggiungono pure dal versante rossonero le squalifiche di Costacurta e Baresi…la partita sembra una formalità. Invece arriva la “Provvidenza”, per l’occasione travestita con il volto di Daniele Massaro, che punisce due volte la difesa catalana (il primo squillo su assist del Genio) e poi, dopo aver rubato palla a Nadal, sarà Savicevic da posizione impossibile e con il piatto aperto a dar vita ad un campanile che beffa Zubizarreta. In questo caso le parole suonano di superfluo e nessuna sarebbe degna di descrivere qualcosa che va oltre il metafisico…il sigillo definitivo di Desailly può solo accompagnare. Il Milan torna a casa nuovamente con la coppa fra le braccia e Dejan con la consapevolezza di aver messo la firma in uno dei dipinti calcistici più raffinati di sempre.

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