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Angelo Pagotto: colpevole o vittima?


- di Luca Fazi - L’altalena della vita ci porta a toccare il cielo con un dito come sfiorare il terreno, così pericolosamente vicini ad esso da rischiare la caduta. Angelo Pagotto è stato a lungo tempo su di un dondolo emotivo che gli ha concesso sia di annusare l’aria rarefatta tipica delle vette più pronunciate, sia l’inferno cavernoso e soffocante.

Appena ventenne Primavera del Napoli, poi la nomina da terzo portiere senza però mai esordire in massima serie. Così occorre farsi le ossa e la Pistoiese in C1 può rappresentare una validissima palestra di vita: Angelo è titolare e con gli arancioni conquista la promozione in cadetteria, per mezzo dei playoff. Il Napoli inizia la discesa in cattive acque e il giovanissimo portiere spinge per lidi meno problematici. Lo vorrebbe la Juve ma incredibilmente dice di no a Moggi e accetta l’offerta blucerchiata: nel 1995 Pagotto diventa il numero uno della Samp. L’annata del club è senza infamia e senza lode ma l’estremo difensore in tanto esordisce in A e riesce ad “uccidere l’Uomo Ragno” Zenga spodestandolo.

Nel frattempo però riveste pure i panni da guardiano dei pali azzurri under 21, essendo inamovibile per l’undici di Cesare Maldini. L’Italia baby si appresta a vincere nel 1996 il terzo Europeo consecutivo e nella finalissima di Barcellona sarà proprio Pagotto a risultare decisivo dagli undici metri: esorcizza sia “il piccolo Buddha” de la Pena che sua maestà Raul. Con quella finale storica e stoica, lottata e vinta con la doppia inferiorità numerica, il portiere mette molto più che le semplici basi di un futuro… tra i direttori sportivi diventa uno dei nomi più ricercati.



Sembra il nuovo Pagliuca (lo stesso che gli soffierà, come fuoriquota, il posto nei Giochi Olimpici) e questa volta la chiamata della big non può essere rifiutata: contratto firmato con il Milan. Solo che la compagine rossonera è all’inizio di quel biennio, il più cupo dell’epopea berlusconiana, colmo di amarezze e povero di gioie. Il Milan è alla ricerca di un valido cambio per sostituire il non sempre sicuro Rossi ma al contempo presenta in rosa nomi giovanissimi e leader indiscutibili seppur avviati al pensionamento. Pagotto prima riscalda la panchina poi viene chiamato in causa non brillando particolarmente e in alcune occasioni regala il match agli avversarsi… per prova, rivedersi Milan-Samp del 2 febbraio 1997.



Così l’estremo difensore cesenate riprende i gradi da titolare e il piemontese saluta Milano con appena nove presenze in campionato, più due nella coppa nazionale. C’è il prestito in A all’Empoli ma con i toscani Angelo dura fino alla prima finestra di mercato perché ad ottobre scende di categoria e sceglie Perugia come tappa della sua rinascita. Pagotto torna un titolare indiscusso ed è tra i protagonisti di quel quarto posto strappato con i denti (e con lo spareggio) che vuol dire promozione per gli umbri. Nel ’98 l’ambiente e il calore della tifoseria biancorossa lo convincono a rimanere ma i guai cominceranno già all’alba della nuova stagione.

Nella prima di campionato c’è, sotto un diluvio, un Perugia-Juventus destinato ad essere ricordato per l’esordio in A (con tanto di doppietta) del nipponico Nakata (tenete a mente questo nome)… ma non solo. Infatti sarà una giornata da incubo per i portieri, costretti dall’impraticabilità del campo ad uscite sbagliate e forti errori di valutazione. Distrazioni commesse sia da Pagotto che da Peruzzi ma il primo risulta “colpevole” di avere come procuratore Alessandro Moggi, figlio di Luciano, e per questo viene a fine gara accusato dall’altro Luciano, Gaucci e presidente del Perugia, di combine.



Siamo onesti, un esordio più difficoltoso non poteva esserci e a gennaio va in prestito alla Reggiana in B. Il club emiliano però non gira come dovrebbe e finisce per retrocedere in C1. Pagotto, che appena tre anni prima sembrava fosse in rampa di lancio, ora appare uno qualunque, inadatto forse per la massima categoria. Torna a Perugia ma ormai è Mazzantini il numero uno designato da Mazzone… a disposizione gli resta la panchina.

Panchina che scalda pure al Franchi in quel 20 novembre 1999 quando gli umbri fanno visita alla Fiorentina. Viene chiamato ugualmente all’antidoping, insieme al compagno Nakata. I risultati dell’analisi e controanalisi danno il proprio responso: il giapponese ok, ma il portiere risulta positivo alla cocaina. Angelo si dispera ma non come uno che è stato scoperto quanto per, a suo dire, essere innocente e vittima di un clamoroso sbaglio… forse non casuale. Il portiere afferma che quella roba non la conosce nemmeno e gli inquirenti, in seguito, ammetteranno molteplici dubbi: sembrerebbe che non siano state usate tutte le precauzioni del caso, con provette non rispettose delle norme.

Nel 2005 l’archiviazione e da Losanna fanno sapere che i campioni sono stati ormai buttati. Tutto può essere il contrario di tutto ma è evidente che Pagotto avrebbe potuto dire la verità e ricevere quindi uno sconto di pena, utile per il prosieguo della carriera… aveva ventisei anni. Invece no, forte delle sue convinzioni si dichiara innocente e non cede nemmeno alle diverse pressioni che gli vengono fatte affinché confessi la colpa. Niente da fare, quindi per Angelo arrivano due anni di squalifica e il Perugia lo licenzia in tronco… nel frattempo Nakata se ne va a Roma (la trattativa era già stata avviata) per cinquanta miliardi di lire, compresivi del cartellino di Alenichev.


Stagione '96-'97: i nuovi del Milan, compreso Pagotto, vengono accolti da mister Tabarez e capitan Baresi

Pagotto non solo viene abbandonato dal calcio ma anche dalla moglie e solo la presenza forte della famiglia lo salverà dalla depressione più nera o azioni peggiori. La mamma lotta come una leonessa per il figlio, secondo lei sfruttato in quanto “pesce piccolo” e trattato diversamente da quei colleghi (Couto, Davids e Recoba per esempio) risultati positivi a farmaci che alterano le prestazioni fisiche ma lasciati liberi di giocare amichevoli e allenarsi. “Mai presa quella roba ma in ogni caso la cocaina non ti migliora quando giochi, anzi… “, dice il portiere diviso tra rabbia e delusione… ma la squalifica rimane.

Scontata la sanzione, il calciatore riparte dalla C1, per la precisione dalla Triestina, e al primo anno centra subito la promozione dopo, ancora una volta, dei playoff incredibili. In B gli alabardati danno spettacolo e, fuori da ogni pronostico, fanno il solletico al quarto posto (valido per la A) fermandosi solamente a tre lunghezze dall’Ancona. Pagotto finalmente sta tornando ma il passato, forse pure ingiurioso nei suoi confronti, lo ha ormai bollato in chiave negativa e quando i rapporti con la società si fanno tesi arrivano le prime noie. Il presidente del club gli lancia delle accuse pesanti, etichettandolo come uno che si vende le partite… facendo leva sulle presunte voci di qualche stagione precedente. Pagotto non ha intenzione di rimanere in un ambiente ostile e quelle offese le ritiene una forte mancanza di rispetto: nel 2003 lascia Trieste.

Ancora C1 quando passa all’Arezzo e ancora una promozione ottenuta sul campo ma questa volta senza troppe sofferenze perché il primo posto è dominato oltre che meritato. Il portiere resta in B, senza fare grandi cose ma la salvezza dei toscani arriva e quello era l’obiettivo primario. Passa al Torino senza mai vedere il campo, poi al Grosseto ed infine in B con il Crotone… ultima tappa di una carriera che si conclude nel peggiore dei modi.


Pagotto nella breve ma decisiva esperienza con il Crotone

Dopo un match del 2007 viene richiesto all’antidoping e risulta nuovamente positivo alla cocaina ma questa volta è lui stesso che ammette le colpe: “Mentre riempivo la provetta non pensavo alla cazzata che avevo fatto. Dieci giorni prima avevo sniffato”. La Procura Antidoping chiede che venga radiato… alla fine la Corte di Giustizia lo condanna a otto anni di squalifica. Pena che si allunga di altri sei mesi quando nel 2011 fu sorpreso ad allenare i portieri della Sanremese. D’altronde per lui il calcio è sempre stato tutto, come quando nel 2000, ancora sotto condanna, cercò di riprendere la forma fisica andando ad allenarsi con il Ravenna. Ecco perché l’essere squalificato e non radiato fa la differenza per chi questo mondo, nonostante tutto, lo vede sempre e solo come una vasta sfera fatta di cuoio.

Angelo non demorde e riparte da zero: pizzaiolo in Germania prima, magazziniere a Prato per un’azienda tessile poi. La madre e la sorella minore non l’hanno mai abbandonato… c’erano in quel fine maggio a Barcellona nel trionfo, c’erano specialmente negli anni più difficili. Che abbia mentito quella volta a Perugia? Purtroppo la risposta certa non potremo mai più averla ma per un attimo, un attimo soltanto, pensate invece se fosse stato una vittima: quel calciatore si è visto troncare una carriera quando ancora poteva dire la sua. Perché siate onesti, dopo un colpo del genere, quanti di voi sarebbero stati in grado di continuare? Difficile non smettere quando hai l’etichetta da pecora nera anche quando non le sei, difficile non smettere quando il mondo intero ti isola e ti mette all’angolo… invece è facilissimo poi farsi del male, come a Crotone e quella maledetta sniffata.

Di provette sospette, soprattutto in quegli anni, non possiamo meravigliarci e la storia di Pantani qualcosa dovrebbe insegnarci. No, non fraintendetemi, non voglio fare paragoni (anche se di mezzo c’è sempre la cocaina e delle madri-combattenti pronte a tutto) con chi correndo pulito ha pagato per cose non sue, fino a distruggersi… fino al giallo della morte. L’innocenza di Pagotto è tutto meno che una cosa certa ma perlomeno andiamoci con i piedi ben piombati prima di gridargli del drogato.

Ora comunque è un uomo libero e il calcio ha nuovamente bussato alla sua porta, ingaggiato come preparatore dei portieri. Non potrà mai più essere ciò che sognava, ciò che poteva, ciò che dicevano… ma state pur certi che gli basta avere un pallone tra le mani per essere felice.


Giorni felici: Pagotto con la maglia dell'Italia under 21

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